Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.
 
 
Di Admin (del 16/10/2013 @ 00:00:01, in Arte News, linkato 5188 volte)
{autore=perna vincenzo} Con questo articolo presentiamo il ciclo "Acquantico" (Il cantico dell'acqua) dell'artista Vincenzo Perna: dodici lavori eseguiti nell'ultimo periodo, figli della creatività liberamente ispirata dall'ossrevazione del mare nelle molteplici forme in cui si presenta.

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"Calmare" 70x100 cm 2012
 
"Acquantico". Il cantico dell'acqua

Canto, la bellezza di una giovane e

flebile voce di ruscello alla fonte!

Sgorgante, come liquido amniotico della madre Terra!

Canto, un sinuoso e meraviglioso crescendo in

forma libera mai ferma.

Massa trasformista,

mutante e rivoltante che sfocia e rinasce in un cascare

scrosciante!

Canto il frenetico movimento, il divino suono

di fluttuante strumento!

Poesia per l'udito, musica dall'infinito,

tra rumore e silenzio... padrona dell'immenso!

Canto un mare d'amare... tranquillo, rilassante, per un

calmare d'animo... eterno!

Rabbioso, spumante, schiumoso, invitante e

rinfrescante!

Canto te!... dissetante sorella, necessaria!

Fonte d'energia rigenerante!

Canto la forza penetrante, la pazienza perforante,

l'invadenza devastante!

Canto l'invisibile forma gentile e levigante, chiara, sincera,

trasparente, dolce e consolante.

Canto l'onda che lava l'onta,

canto te, purificante.

Canto la tua mano candida e pulente! Passante sul passato,

sui mali del mondo e su quel che... è stato è stato!

 Vincenzo Perna.       Ercolano, 7 ottobre 2013


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"Il mattino dopo" 40x70 cm 2014

ANTOLOGIA CRITICA:

Vincenzo Perna con i suoi tre decenni di operosità alle spalle dimostra un grande amore per la pittura, per il disegno, per la storia dell'arte. Ma anche per le sue radici partenopee. Nei suoi 'capricci', nelle sue 'citazioni', nei suoi 'sogni', egli porta alla ribalta un'atmosfera straordinaria anche di mare, di barche, di porti mitici.

Circola nel suo sangue il museo antico, ma anche l'antica Roma, il mare greco. In molti suoi dipinti Pulcinella la fa da padrone: è la maschera casalinga, che ogni partenopeo si porta in cuore anche nel nord italico. Come prima attrice, in molti suoi quadri, appare la sua felicea bambina che apre e che prosegue nel quotidiano la vita artistica di questo poeta di un sogno squillante di colori.

Paolo Levi

 

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"Il silenzio dei sommersi" 70x50 cm 2012

 

La maschera, la scena, il sogno.

...Una modalità di relazione dove tutto è interpretato alla luce di una scena dove il foglio e la tela diventano oggetti transizionale, schermo, tra il mondo interno dell'artista, il passato inteso come storia e quello esterno, il presente.

... Come a teatro il sipario si apre sulla "scena" e l'assurdo diventa rappresentazione di situazione visive complesse fitte di presenze di forte emblematicità dove ognuno svolge il suo ruolo, la sua parte come da copione. Un richiamo provocatorio a riconoscere, attraverso il gioco mutevole della "maschera" del Pulcinella, l'allegro visitatore, la nostra identità, la nostra storia.

...Ogni lavoro, attraverso esperienze e sperimentazioni tecniche, è trattato, patinato, invecchiato, perché secondo l'artista vittima esso stesso della natura violenta delle cose, dell'incuria e dell'abbandono, di una distruzione avvenuta essenzialmente per colpa dell'uomo, per la sua dichiarata incapacità nel gestire beni cosi importanti: Vesuvio, Scavi archeologici, chiese, ville e palazzi. Il gioco delle contraddizioni è violento nelle sue forme, nelle quali brulicano segni che sono altrettanti richiami, "stratificazioni di eventi e culture che avranno come ultimo strato i resti degli ultimi strati, di persone morte in circostanze simili a quella capitata agli ercolanesi vissuti fino al 24 agosto del '79 d. C., in attesa di essere a loro volta ri-scoperti. Unica soluzione la fuga, con qualunque mezzo di fortuna, magari in groppa a un ippocampo.

Giorgio Cangiano, 1994

 

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Senza titolo 90x70 cm 2011

 

La maschera, la scena, il sogno.

Vincenzo Perna è un artista moderno che ammanta la sua pittura dei segni del passato quasi a voler recuperare culturalmente e storicamente le orme dell'uomo, come se questi fosse ormai talmente mutato e uscito dalla sua verità esistenziale da dover essere cercato nelle sue tracce in una sorta di ricerca archeologica...

...E come un attore alla ribalta presenta al pubblico le sue maschere napoletane perché l'allegoria dei suoi pulcinella, pierrot, arlecchini sembra alludere in modo abbastanza scoperto ad una specie di giudizio finale quando i protagonisti della commedia umana gettano, appunto, la maschera e rappresentano finalmente sé stessi con tutta la tristezza del dopo scena...

...Nelle opere d'arte l'esperienza onirica ispira quanto di irreale e di irrazionale c'è nei sogni. Nell'inconscio si pensa per visioni, e poiché l'arte formula immagini è il mezzo più adatto per portare alla superficie i contenuti profondi dell'indistinto. Ma nel tratto onirico di Perna più che l'atteggiamento estremistico del surrealismo vero e proprio vi è la continua presenza del ricordo che sfocia nel problema della favola cui si concentra l'attenzione degli studiosi, etnografi e linguisti per ricercarne l'origine, la struttura, il significato, la funzione. Che, in definitiva, è il rapporto con la morale, la cultura, il costume del popolo.

Ecco il senso compiuto della sua mostra itinerante sull'ambizioso tema della maschera, la scena, il sogno.

Marino Fioramonti, 1997

 

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"Cielolidolindo" 30x107 cm 2010

 

Al Centro Civico di Lignano espone Vincenzo Perna.

Sarcasmo, ironia e un po' di amarezza sottolineano il valore di queste figure napoletane, raccontate nelle loro sfaccettature di Vincenzo Perna: il pulcinella irriverente, l'uomo triste, il saluto, il benvenuto. Tutti atteggiamenti che sottendono anche moti dell'animo, una gestualità tutta interiore per dire che sostanzialmente tutti gli uomini sono un po' delle maschere, un richiamo di contenuto per tutta la cultura (anche letteraria) del novecento, L'io che esercita la finzione, l'io che vuole mostrare un'altra immagine di sé, forse perché nell'animo di ognuno si agita la paura, o forse anche in quanto vive in ognuno di noi la volontà di sdrammatizzare il duro gioco dell'esistere, sia esso una maschera, sia una finzione. La mostra di queste figure si coniuga con una storia di carnevale perenne, l'amara finzione di gioco e sdrammatizzazione. La proprietà linguistica di Perna si estrinseca in un disegno sicuro e morbidissimo, un tratteggio elegante e fluido, senza spigolosità. L'autore, docente all'Istituto d'Arte di Udine, gioca col segno e in esso inserisce sapientemente il colore. La chiave di lettura, nel suo realismo, è estremamente semplice pur nella profonda e amara verità che solamente l'ironia può esorcizzare.

Vito Sutto, 2000

 

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"Insediata" 100x70 cm 2011

 

Realtà, favola e sogno nelle opere di Perna

...Tale situazione viene da Perna «raccontata» nella dimensione di una favola dal sapore triste, amaro, ma con la sincera speranza di un riscatto nel prossimo futuro. Il colpevole abbandono delle ope-re di pregio storico - artistico nei luoghi a lui particolarmente cari di Pompei, Ercolano e Stabia, è sempre ricordato in oli, acrilici, tecniche miste, sanguigne, gessetti e murales, dove i primi piani sono il più delle volte occupati da maschere spesso in espressioni tristi e pensose e con le quali l'artista opera come se fosse un regista sul palcoscenico di un teatro in un sottile e ironico gioco per condannare l'atteggiamento assente nei confronti di opere appartenenti alla nostra civiltà...

...Tecnicamente l'opera mostra sempre l'accurata ricerca di calibrati ritmi compositivi, la piena padronanza del disegno ed il paziente uso di velature realizza preziosi effetti nei cromatismi ed un delicato impianto tonale, in cui bianche lumeggiature conducono a raffinati effetti luministici.

Domenico De Stefano, 1997

 

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"... A domani" 100x70 cm 2012

 

...Le opere esposte da Vincenzo Perna hanno quale scopo principale e motivo conduttore la denuncia attuale dell'incapacità di conservare il nostro patrimonio storico - artistico e, più in generale, dell'insensibilità che certe volte la società contemporanea manifesta nei confronti di quella ricchezza di valori che la cultura può trasmettere.... i primi piani sono il più delle volte occupati da maschere napoletane, Pulcinella soprattutto, individuate spesso in espressioni tristi e pensose e con le quali l'artista opera come se fosse un regista sul palcoscenico di un teatro in un sottile e ironico gioco per condannare l'atteggiamento assente nei confronti di opere appartenenti alla nostra civiltà.

Domenico De Stefano, 1997

 

 vincenzo-perna-dorato
"Dorato" 70x100 cm 2013

 

...Giovane per l'anagrafe e con il pensiero votato ad un presente che non cancelli i germi del passato, egli rivela un impegno espressivo spesso sfociante nel favolistica sempre e comunque armonizzato, allusivo e umano insieme, dove i protagonisti della scena finiscono per essere soggetti con tutte le verità e le pochezze esistenziali.

Natale Zaccuri, 1997

 

 vincenzo-perna-sabbia
"... E che non s'abbia a dire che non è sabbia!" 70x50 cm su cartoncino 2012

 

... "Frutto di una furtiva visita, con licenza di asporto" di Vincenzo Perna di Udine, completa la terna degli eletti: un excursus in una realtà cosi pregnante da superare se stessa nell'assoluta perfezione formale del cesto caravaggesco ripieno di frutti, la bambina con audacia e stupore ha carpito una mela dipinta! Grande mestiere, sostenuto da uno slancio geniale di forte impatto emotivo...

M. Pistono, 1998

 

 vincenzo-perna-sassi
Senza titolo 20x20 cm 2014

 

Il maestro udinese Vincenzo Perna va oltre i confini del reale, mettendo un tocco di ironia in «Frutto di una furtiva visita, con licenza di asporto» (3° premio).

"II furto della mela dipinta - spiega il patron della mostra - dà l'esatta misura della perfezione dell'opera caravaggesca che trae in inganno la brama concupiscente dell'incauta e stupita fanciulla".

M. Pistono, 1998

 

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"Molto amareggiati per la troppa mareggiata" 60x90 cm 2010

 

Una sicura identità,

... Furore e le sue remote vicende. Perna ne ha subito l'incantamento, fino a riviverle in un ciclo pittorico di forte suggestione. La narrazione (ma è poi tale, o siamo di fronte a un dato di avvio, subito superato dall'invenzione dell'artista?) procede cosi lungo percorsi emozionali, che solo parzialmente trovano riscontro con le vicende stesse...

… Gli esiti sono quelli sicuri di chi ha confidenza con la pittura di contenuto; di chi sa affrontare e distribuire un tema da piccola epopea, senza indulgere alla celebrazione e senza cedere al descrittivismo:

Perna si rivela cosi un artista con una sua precisa identità, riconducibile solo in parte alla migliore tradizione realistica. Direi piuttosto che nella sua ricerca ci sono segni di quella Nuova Figurazione, che ha trovato in Zigaina e Cremonini, ma soprattutto nel nostro De Stefano, i grandi innovatori...

...Caduta la prospettiva, intesa in senso rinascimentale, Perna dà ai suoi dipinti un impaginato di tipo cinematagrafico, dove i piani spesso interferiscono e le immagini presentano tagli insospettabili.

Anche la cromia, assai convincente, si avvale di sapienti velature e affida il meglio di sé al felice equilibrio dei toni.

Nino d’Antonio, 1996

 

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"Incontri" 70x50 cm 2010

 

Realtà e poesia.

Cercare nella realtà i risvolti persistenti, le latitudini non illusorie. Rinunciare alle dissacrazioni anarchiche e avanguardistiche. Privilegiare il rigore compositivo, la purezza del segno: ecco la voca-zione artistica, appassionata e coinvolgente, di Vincenzo Perna...

...Il linguaggio è semplice e immediato, ma il messaggio è "oltre" l'apparire e spinge verso orizzonti infiniti. Il vero di Perna è, al tempo stesso, concreto e allegorico, immerso in un'atmosfera rarefatta, quasi alienata, eppure poetica, da favola. Una pittura colta. Un'arte che individua nell'uomo il suo referente quasi esclusivo.

Raffaele Ferraioli, 1996

 
Di Admin (del 08/12/2013 @ 00:00:01, in Arte News, linkato 4587 volte)

Andy Warhol (Pittsburgh, 1928 – New York, 1987) ha avuto, negli ultimi anni della sua vita, contatti con l’ambiente napoletano grazie all’incontro con il gallerista Lucio Amelio. Proprio a lui si deve la tiratura in 100 copie numerate e poi firmate da Warhol dell’opera “Vesuvio” (qui proposta) per la mostra ‘Vesuvius by Warhol’ tenutasi a Napoli nel 1985. Questa tiratura grafica, esclusiva di Lucio Amelio, va ad aggiungersi a quelle ufficialmente riconosciute dalla Andy Warhol Foundation for the Visual Arts di New York sul Vesuvio, ciascuna delle quali, invece, numerate in 250 esemplari. Oltre alle opere multiple, la mitica mostra contava 18 tele tutte sul Vesuvio. Il Vesuvio è rappresentato sempre in un’eruzione dai colori brillanti come emblema di una città in fermento, fonte di continue ispirazioni a chi sa guardarla nella sua infinita vitalità.  

Così Andy Warhol su Napoli in un intervista a Il Mattino di quegli anni: “Amo Napoli perché mi ricorda New York, specialmente per i tanti travestiti e per i rifiuti per strada. Come New York è una città che cade a pezzi, e nonostante tutto la gente è felice come a New York. Quello che preferisco di più a Napoli è visitare tutte le vecchie famiglie nei loro vecchi palazzi che sembrano stare in piedi tenuti insieme da una corda, dando quasi impressione di voler cadere in mare da un momento all’altro. A Napoli c’è anche il pesce migliore, la migliore pastasciutta ed il vino migliore”. E ancora, sul Vesuvio:

''Ritengo che il Vesuvio sia molto di più di un grande mito, è una cosa terribilmente reale''.

andy-warhol-vesuvio

andy-warhol-serigrafia

L'opera, in nostro possesso, è corredata di certificazione di autenticità e provenienza della galleria Rosini - Guttman & C. di Riccione, collezionisti e tra i massimi esperti di Andy Warhol in Italia.


La pop-art è stata la "corrente" artistica più longeva del Novecento, anche se il movimento in quanto tale ebbe poco più di un decennio di vita: il suo periodo eroico si può infatti collocare dalla fine degli anni 50 a tutti i 60.

I segni della vita quotidiana entravano massicciamente nella pittura e nella scultura e l'arte pop si apriva come una finestra sul mondo e come reazione all'espressionismo astratto, estremo introverso atteggiamento artistico, ma anche come interesse per la nuova comunicazione universale che nasceva e si propagava direttamente dall'esplosione della potente macchina economica americana.

Pei gli artisti pop la ricerca di se stessi non si basava sul rifiuto della realtà, ma diventava un mezzo per meglio offrirsi ad essa e viverla con tutte le forme secondo uno stile di vita socializzante: l'arte viene usata non in relazione all'arte in sé, ma in relazione alla vita di ogni giorno; bando quindi alla sofferenza per far posto al piacere della quotidianità, bando alle lacrime per fai posto al riso. E all’ironia.

In fondo, pei gli artisti pop, l'essere come fonte d'ispirazione artistica tende verso il benessere, a differenza dei predecessori americani dell'espressionismo e dell'action-painting.

In questo scenario Andy Warhol occupa un posto del tutto speciale.

Pur essendo stato il primo degli artisti pop a scomparire (nel 1987, mentre Lichtenstein è morto nel 1997 e gli altri sono ancora vivi e operanti), la sua arte sopravvive alla stessa epopea pop: mentre gli altri artisti sono oramai "storicizzati" e in qualche modo “sorpassati” dal vorticoso succedersi degli eventi artistici, più o meno deboli, degli ultimi decenni, l'arte di Andy Warhol è ancora oggi evidente in quasi tutte le forme di comunicazione e di espressione artistica: anche e soprattutto in quella più diffusa e massificata, la pubblicità, che pervade con il proprio sistema semantico le iconografie warholiane. Il risultato è stato ed è che l’arte di Warhol, dopo aver attinto alle "mitologie del quotidiano" per la propria espressività, nel corso degli anni ha progressivamente restituito alla cultura di massa quelle immagini di cui si era appropriata. In questo consiste uno degli esiti maggiori di Warhol, nell'aver cioè provocato una suggestione universale fatta di citazioni, scambi, parallelismi e allusioni reciproche la cui conclusione è probabilmente ancora lontana.

(dal catalogo "Essere ben essere secondo Andy Warhol" del 2000)
 
Di Admin (del 13/12/2013 @ 00:00:01, in Arte News, linkato 4246 volte)
{autore=villani gennaro}
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 GENNARO VILLANI   Titolo: VENEZIANA   Olio su cartone, 51,5 x 34,5 cm

Affascinante e significativa opera di Gennaro Villani, tanto da essere pubblicata a pagina 371 de "Il valore dei dipinti dell'Ottocento e del primo Novecento" del 1999 - 2000 edito da Umberto Allemandi & C. di Torino. L'opera è firmata "G. Villani" in basso a destra e riporta il titolo "Veneziana" a tergo.

Frequentò l’Istituto di Belle Arti di Napoli, allievo di Cammarano, da cui derivò il robusto impianto disegnativo che interpretò prima con gusto tonale e poi con inflessioni postimpressioniste dal denso colore. I dipinti di genere di soggetto napoletano, le figure, le marine e i paesaggi del Villani interessano le aree di collezionismo partenopeo sensibili alla pittura di derivazione ottocentesca. I prezzi sono normalmente compresi in un arco dai due ai cinque milioni, a seconda di dimensioni, qualità e soggetto dei dipinti, con punte superiori per gli oli di notevole impegno o di particolarissimo interesse topografico.

(Il valore dei dipinti dell’Ottocento e del primo Novecento. X edizione, 1992 – 1993. Umberto Allemandi & C. Editore)


gennaro-villani-assunta

 GENNARO VILLANI   Titolo: ASSUNTA   Olio su tela, 36 x 29 cm del 1915

Bellissima opera di Gennaro Villani di inizio secolo. Il dipinto ritrae Assunta, la sorella minore del grande maestro napoletano. Nata da seconde nozze dopo che la mamma Filomena rimase vedova del primo marito padre di Gennaro. Assunta diventerà poi suor Maria Egidia a Pompei. Di alta qualità pittorica. L'artista, con forza e delicatezza allo stesso tempo, riesce a farci entrare nella melanconia della giovane attraverso i suoi grandi occhi. La tela applicata su cartone è firmata e datata in basso a destra G. Villani 1915.

All'Istituto di Belle Arti di Napoli Gennaro Villani fu, con Viti e Crisconio, tra i migliori allievi di Michele Cammarano: da quel grande maestro, burbero e solitario, apprese il disegno — che è il fondamento della pittura —, lo studio del vero, la maniera sobria dell'impianto chiaroscurale. E fu caro anche a Gaetano Esposito, col quale ebbe una spirituale affinità nel «sentire» la pittura sopratutto come stato d'animo. A partire dal 1904 — quando iniziò a partecipare alle Promotrici napoletane — e per un quarantennio Villani fu costantemente presente alle più significative manifestazioni d'arte italiane e straniere: Roma, Torino, Rimini, Firenze, Parigi, Monaco di Baviera, Milano, Venezia, Bruxelles, Santiago, Barcellona; nel 1909 fu tra i promotori della prima Esposizione giovanile d'arte di Napoli (collegata al movimento «secessionista», confluito poi parzialmente nel futurismo); nel 1920 succedeva ad Alceste Campriani sulla cattedra di pittura all'Accademia di Belle Arti di Lucca. In precedenza aveva dimorato alcuni anni a Parigi, ove la lezione impressionista se vivacizzò in qualche modo il suo colore non alterò la sua sensibilità cromatica né attinse l'impianto realistico attraverso il quale da tempo era andata caratterizzandosi la sua fisionomia pittorica. Come era accaduto a Casciaro, a Ragione, a Scoppetta, egli trovò sulle rive della Senna un'atmosfera consona al suo spirito — formatosi nel clima di Giacinto Gigante, antesignano dell'impressione e della macchia — e motivi ispiratori capaci di arricchire la sua esperienza e dargli nuove emozioni. E del resto, se nel 1914 non avesse dovuto interrompere la sua permanenza in Francia per lo scoppio del conflitto mondiale, Villani avrebbe già visto schiudersi un avvenire di lavoro intenso e proficuo; già allora stentava a soddisfare le richieste di Montmartre, di Moulin Rouge, di Moulin de la Gallette che quotidianamente gli pervenivano dai mercanti parigini. L'ordito dei suoi dipinti era quello di un impressionismo palpabile, nutrito di esperienze dirette, talvolta acceso e crepitante. Nei suoi paesaggi il sole giocava sugli alberi, sulle case, sulle colline, sul mare, sotto le pergole e sulle tovaglie, sui bicchieri; giocava sull'allegria dell'estate e sulla malinconia dell'autunno. Egli fu il pittore delle armonie velate delle giornate di pioggia; colse la poesia fuggente del mare su cui fluttua l'ombra arabescata delle barche. Notava Roberto Bracco scrivendo di Villani: «Egli ha la capacità dell'estro improvviso e quella della riflessione, ha la facoltà dell'abbozzo rapido e sintetico, del segno pronto e definitivo, dell'accenno lieve e pur vivido ed essenziale, e ha l'opposta facoltà della elaborazione, della finitezza, della compiutezza; estensibile fino alle più delicate sfumature, alle più sottili intenzioni».

(Alfredo Schettini – Cento Pittori Napoletani – So.Gra.Me. Napoli, 1978)


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 GENNARO VILLANI   Titolo: NOCERA INFERIORE   Olio su cartone, 28 x 35 cm del 1937

Gennaro Villani non di rado si recava a Nocera Inferiore dove risiedevano alcuni cugini più anziani, anch'essi con cognome Villani. Il dipinto raffigura uno scorcio del paese eseguito con grande maestria e sintesi. Villani, vero padrone della materia, sfrutta in diversi punti il colore del cartone di supporto e con poche ma decise pennellate, dipinge il paesaggio preso dal vero. Il cartone è firmato a matita in basso a destra G. Villani. A tergo titolo e anno: Nocera Inf. 20 sett. 1937

Un ringraziamento particolare a Ena Villani, artista e figlia del maestro
 
Di Admin (del 20/01/2014 @ 00:00:01, in Arte News, linkato 9023 volte)
{autore=de corsi nicolas}



L'opera è firmata in basso a destra: "De Corsi ".

Di padre italiano e madre russa, Nicolas De Corsi approdò e decise di stabilirsi a Napoli dopo vari vagabondaggi. Qui cominciò a dipingere in intensità di emozioni e di sogni. Egli seguiva la propria inclinazione verso le forme più immediate della verità che lo seduceva, rivelando un talento pittorico che poteva essere solo paragonabile a Giacinto Gigante ed Edoardo Dalbono. Divenne particolarmente esperto nel paesaggio (particolarmente significative le sue interpretazioni di Venezia e del porto di Torre del Greco), preferendo dipingere ad acquerello, una tecnica che rivela appieno quali fossero le possibilità e le risorse della sua arte per larghezza, immediatezza e freschezza dei toni trasparenti. Nessun altro pittore italiano dell’epoca sapeva rendere la suggestiva luce degli effetti notturni. E fu proprio dopo il successo ottenuto all'Esposizione Internazionale di Roma del 1905 con “Effetto di sera” che si trovò ben presto sul piano delle competizioni artistiche mondiali.




L'opera è firmata in basso a sinistra: "De Corsi ".

Figlio del console italiano presso la città russa di Odessa e di Emma Suppinich, Nicolas De Corsi nacque nel 1882. Un anno dopo la sua nascita, morì il padre e due anni dopo la madre si risposò con il nobile spagnolo Gutierrez, anch'egli console in Russia. L'anno successivo l'intera famiglia si recò a Madrid, luogo dove avvenne la formazione del giovane pittore. Nel 1896 in seguito al decesso del patrigno, si recò in Italia, in particolar modo a Roma, dove frequentò prima la libera Accademia di S. Lucia (dalla quale venne in seguito allontanato) e poi la scuola serale del Circolo Artistico, ed a Napoli. Nel 1900 il pittore si recò in villeggiatura a Torre del Greco (evento che si rivelò molto importante nella vita del pittore). Partecipò in seguito a numerose esposizioni (Mostra Nazionale di Belle Arti a Milano; Salone d'Autunno a Parigi; IX Mostra Internazionale di Venezia; Quadriennale di Roma). Nel 1930 venne a mancare la madre e nel 1934 il pittore si trasferì definitivamente a Torre del Greco. Dalla cittadina vesuviana si allontanò solo nel 1940 perché sfollato a Vico Equense, per farvi ritorno nel 1945. Morì nel 1956 all'età di settantaquattro anni. (fonte: it.wikipedia.org)


 
 
Di Admin (del 12/02/2014 @ 00:00:01, in Arte News, linkato 10915 volte)
{autore=pratella attilio} Attilio Pratella (Lugo di Romagna, 1856 - Napoli, 1949). Nel 1880 lo troviamo attivo col Casciaro, il Dalbono e tutta una schiera di pittori che continuano quel particolare naturalismo partenopeo così diverso dal macchiaiolismo toscano e così lontano dall'impressionismo francese. Nell'81, col quadro Verde ottiene un primo successo alla Promotrice Salvator Rosa. Fino al 1910-20 continuò a partecipare alle mostre italiane ed estere. La pittura del Pratella costituisce un aspetto abbastanza singolare nel paesismo partenopeo, nel periodo di transizione fine '800 e primo '900. Taluni hanno cercato il vero Pratella nella produzione giovanile, fresco, vigoroso, e assai vicino alla pittura iniziale del Mancini o alla Scuola di Posillipo. Altri vedono nella sua produzione ulteriore, un gusto aggiornato, paragonando certe sue vedute di oliveti alla Sisley. Alcune sue tavolette sono passate per opere giovanili del Mancini.

("Pittori e Valori dell'Ottocento" Istituto Editoriale Brera di Milano, 1961)


Attilio-Pratella-marina

"MARINA" OLIO SU TAVOLA 20 x 30 cm. L'opera è firmata A. Pratella in basso a destra.

Questa marina di Attilio Pratella è da considerarsi un'opera significativa nonostante le dimensioni contenute (ma non troppo!). La tavoletta è databile proprio a cavallo dei due secoli, senz'altro il periodo migliore dell'artista. Da sottolineare il taglio dell'orizzonte molto alto, proprio ad esaltare il pregevole ricamo del mare in primo piano. Sempre affascinante l'ambientazione del Golfo di Napoli con il lungomare e il Vesuvio in lontananza. La cornice è coeva.

Attilio Pratella (Lugo di Romagna, 1856 - Napoli, 1949) era anch'egli un tardo impressionista, alla Sisley. Proveniva da una famiglia di lavoratori romagnoli e cominciò a dipingere giovanissimo. In un foglietto autografo, trovato dai figli tra le sue carte, Pratella cosi racconta i suoi primi passi: «Eccovi delle piacevolezze - A 16 anni illustrai un libro di chirurgia e il noto chirurgo di Bologna mi guidò (in) questa faccenda. Un giorno entrai in una bottega di barbiere e vedendo alle pareti 4 quadri con incisioni di fiori che erano brutte allora il barbiere mi affido la commissione di eseguire in pittura, 4 quadri ciò che feci mi procurò elogi dai clienti del barbiere e una reclame al pittore...». Il curioso documento è tracciato a lapis su un foglietto di carta da acquerello tra prove di colori e macchie varie.


Attilio-Pratella-Pescatori-Napoli

"PESCATORI A NAPOLI" OLIO SU TELA 28,5 x 40 cm. L'opera è firmata A. Pratella in basso a destra.

Bellissima marina del periodo verista di Attilio Pratella databile ancora al XIX secolo. Dipinto di alta qualità pittorica. In primo piano diversi pescatori, alcuni sul molo, altri sulle imbarcazioni, sono pronti per la battuta di pesca, dando grande vita e movimento al dipinto. Lo scorcio di via Caracciolo, l'inconfondibile Castel dell'Ovo e il Vesuvio appena fumante col Monte Somma, impreziosiscono l'opera arricchendola del fascino del Golfo di Napoli. L'opera, rintelata, presenta qualche segno del tempo con qualche screpolatura e un piccolo ritocco postumo nel cielo. La cornice è molto bella.

Il fatto è che, verso i 16 anni, gli amministratori del comune di Lugo, socialisti e repubblicani, assegnarono una borsa di studio al giovanotto che manifestava chiaramente le sue doti artistiche. Così Attilio Pratella si trasferì a Bologna e, in quella Accademia di Belle Arti, studiò sotto la guida di Puccinelli-. A Bologna strinse amicizia con Giovanni Pascoli per il quale esegui una serie di disegni illustranti i volumi di versi che allora veniva pubblicando Zanichelli. Verso i vent'anni Pratella volle conoscere Napoli e concludere gli studi in quell'Accademia che era allora una delle più illustri d Italia per la fama di Palizzi e di Morelli. Pratella cosi approdò a Napoli nel 1876 e si iscrisse alla scuola di pittura, ma dopo un anno, malauguratamente, decadde l’amministrazione di Lugo e al posto dei socialisti subentrarono i clericali, che, fra le prime cose, decisero di togliere al giovane Pratella la borsa di studio. Che fare? Attilio Pratella preferì affrontare la vita e restò a Napoli, sorretto dalla benevolenza di Palizzi che era rimasto ammirato dagli studi del giovanotto. Fu ammesso alla «1ª Mostra Promotrice» e, per tirare avanti, accettò il lavoro di decorare le scatole di dolciumi per Van Bol. Fu allora che Pratella strinse amicizia con Migliaro e Ragione e si legò artisticamente con Rossano e De Nittis, cioè scelse, tra i due campi opposti, quello giusto, anche se la scelta doveva costargli la fame. E la fame venne. De Nittis se ne era andato a Parigi dove visse nel clima degli impressionisti come nel suo clima naturale. A Parigi e in Toscana se ne andò anche Rossano, seguito più tardi dal povero Ragione. Gemito e Mancini, anch’essi sbandati e indifesi, si spensero. A Napoli restarono solo Migliaro e Pratella che intanto se ne era andato ad abitare al Vomero, allora brullo e agreste.


Attilio-Pratella-Villa-Quercia

"VILLA QUERCIA. NAPOLI" OLIO SU TAVOLA 14,5 x 22,5 cm. La firma A. Pratella è in basso a sinistra.

La piccola opera del Pratella è un gioiellino. Elegante. Soggetto affascinante e perciò anche ripetuto dal maestro, sebbene alquanto raro, databile intorno al 1910/15. Molto belli e di grande qualità i colori usati che risultano brillanti, smaltati e materici al tatto. Un gioco accattivante di luci dove predomina la bellezza della famosa villa di Posillipo. L'opera è incorniciata.

Per campare in quel tempo escogita molti mezzi: fa della ceramica in una fabbrica che si trovava al Ponte della Maddalena e dipinge «macchiette» per Mastu Ciccio che era una specie di «père Tanguy» napoletano con negozio in via Costantinopoli. Mastu Ciccio aveva assegnato a Pratella un compito particolare: «Tu mme ’a fa e Ciardi», gli aveva detto, in considerazione del fatto che Pratella, vissuto per vent'anni tra Bologna e Venezia, conosceva la pittura di Ciardi, appunto, come conosceva quella di Favretto e di Fragiacomo. Tuttavia Mastu Ciccio, che capiva di pittura più dei cosiddetti amatori napoletani messi insieme, qualche volta acquistava le opere dei giovani artisti. Con Morelli e l'ambiente ufficiale non c'era nulla da fare. Se qualcuno dei giovani, Pratella o Migliaro, mostrava al Morelli un suo dipinto, si sentiva fare affermazioni avvilenti di questo genere: «Il piano non è finito». I giovani pittori esponevano da Tibaldi, un cartolaio in via Chiaia che era l’unico a proteggerli. Da Ragozzino, in Galleria, esponevano solo i pittori ufficiali e i vedutisti commerciali. Pratella era solito ripetere le parole che gli disse una volta Dalbono incontrandolo mentre si affrettava ad andare allo studio: «vaco'a casa — spiegò — a ffa 'na purcaria per magnà». Ma coloro che respingevano Ragozzino e la soluzione commerciale non avevano altra scelta che le mostre da Tibaldi, dove non si vendeva mai un quadro, o la fuga da Napoli. Pratella e Migliaro non ebbero l'animo di lasciare la loro città e furono condannati per questo ad una vita di stenti. I clienti e gli amatori d'arte erano (e sono ancora, ahimé!, in gran numero) ignoranti e dittatoriali. Il committente napoletano «non voleva avere pensieri» e guardava con sospetto chiunque azzardasse idee che non fossero quelle sacrosante, da lui accettate ed assodate come eterne. Egli aveva un concetto preciso del «bello» e non tollerava che fosse messo in discussione. «Bello» era il mare al tramonto col pino in primo piano, «bella» era la retorica villereccia ed arcadica; «belli» erano il vicolo napoletano coi panni stesi al sole, lo scugnizzo con la sigaretta in bocca, il guappo e la «maesta».


Attilio-Pratella-Nevicata-verso-Capodimonte

"NEVICATA VERSO CAPODIMONTE" OLIO SU TAVOLA 18 x 28 cm. L'opera è firmata in basso a sinistra.

Rara opera di Attilio Pratella raffigurante la strada verso Capodimonte tutta innevata. Molto lontana dalle inflazionate tavolette proposte dal mercato. Straordinaria è la resa nei toni di grigi tipici di questo periodo, che ne esaltano l'eleganza e la ricerca tonale. Riuscita è l'inquadratura presa dal lato destro della strada in primo piano che dà grande profondità al dipinto insieme alle figure in movimento poste magistralmente lungo il percorso in una perfetta proporzione. Opera databile ai primissimi anni del '900 con cornice originale.

Bello e degno d'essere eternato in pittura era insomma tutto ciò che presentava la vita sociale come la più felice e giusta possibile, tale, comunque, da non disturbare le elaboratissime digestioni dei ricchi commercianti e industriali napoletani. Il committente meridionale, d’altra parte, non disdegnava gli atteggiamenti paternalistici e protettivi; giocava volentieri il ruolo del mecenate generoso e caritatevole e lasciava scivolare dalla tasca ogni tanto dei soldini per «quei pazzerelloni» di artisti moderni-. Neppure un uomo come Croce, neppure un grande intellettuale della statura del filosofo idealista, sfuggiva a questa legge della foresta. Croce infatti amava ripetere a chi gli chiedeva della sua raccolta d'arte che essa denotava più il suo «buon cuore» che i suoi gusti estetici. Un ritratto esemplare di amatore e collezionista napoletano lo traccia Ezechiele Guardascione nel suo libro «Napoli pittorica». Il personaggio descritto è tal Gualtieri, deputato al Parlamento e «amico» degli artisti: «Questo grasso e grosso uomo d'affari, Gualtieri, aveva quasi finito per abbandonare ogni occupazione: la mattina, messosi in pigiama di seta, si abbandonava felicemente alla contemplazione dei suoi quadri. Vorrei dire che nuotava beato nei mari dell'arte napoletana. Il vecchio palazzo in piazza del Gesù, dove egli abitava ed aveva la sua pinacoteca, era stato prima proprietà della famiglia Degas»: i napoletani, infatti, per un certo tempo, lo chiamarono il palazzo del gas. «Da un superbo portone seicentesco si entra in un cortile, e poi in un secondo che in origine dovette essere un giardino: alberi di alloro e di quercia sono rimasti tra le basse costruzioni: fabbriche di cartonaggio, di scarpe, e rimesse di automobili». I parenti di Degas abitarono qui fino a molti anni addietro ed è noto che vendettero via via i quadri del Maestro che loro restavano. «Gualtieri amava vivere in mezzo agli artisti. Dava pranzi sontuosi. Quasi seduto in trono come un pascià, egli gettava manate di granoturco alle irrequiete gallinelle della pittura napoletana che si pizzicavano fra loro: pettegolezzi, contrasti ed ogni altro effetto che può derivare dalla mente malata di artisti in bolletta. Ma Gualtieri, mentre gustava le sue murene fritte e le sue spigole in bianco, e tracannava vino biondo di Falerno-, rideva di tutto, perché l'arte gli aveva fasciato l'anima di una fiorita beatitudine giovanile. L'arte, quale caldo beveraggio, pareva che gli ristorasse lo stomaco».


Attilio-Pratella-Studio-per-pescatori

"STUDIO PER MARINA CON PESCATORI" MATITA SU CARTA 22,5 x 15,5 cm. La firma A. Pratella è in basso a destra.

Interessantissimo "Studio per marina con pescatori" di Attilio Pratella. E' un disegno, un bozzetto eseguito dal vero, dal lato della via Marina a Napoli, con in secondo piano, il campanile del Carmine (quando il mare arrivava a piazza Mercato). Il supporto è un cartoncino sottile con evidenti segni di piegatura. L'opera ha una valenza storica molto significativa oltre a quella artistica per la straordinaria interpretazione delle figure inserite in un paesaggio reso con sintesi ma senza approssimazione. La datazione è inquadrabile al primo periodo del maestro a Napoli, e quindi alla fine del XIX secolo.


Tale era l'ambiente della giovinezza e della maturità di Pratella e degli artisti della sua generazione; ambiente, che, ahimé!, è cambiato poco, anche ai giorni nostri. Pratella, che era un vero artista, resisté il più a lungo possibile alla tentazione di ridursi al ruolo di «gallinella», per dirla alla maniera dell'argutissimo Guardascione. Quando iniziò la serie dei paesaggi grigi e degli ulivi argentei di Capri, gli dissero che «aveva fatto il bucato» ai suoi dipinti. Tutte le volte che si abbandonava liberamente al suo talento e rivelava la sua natura di autentico impressionista, gli «amatori» rabbrividivano. A molti sembrerà inopportuna la difesa di un artista come Pratella, che è considerato un esponente tipico dell'arte commerciale. Il nostro è un riferimento preciso alla produzione iniziale dell'artista, che non ha nulla a che vedere con i quadrucci che egli era costretto a dipingere per non morire di fame.

(Paolo Ricci – “Arte e artisti a Napoli”, 1981)

 
Di Admin (del 21/02/2014 @ 00:00:01, in Arte News, linkato 3837 volte)
{autore=ricciardi oscar}
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OSCAR RICCIARDI Titolo: CAPRI Olio su tela applicata su tavola, 40 x 27 cm

Avviato alla pittura dal Celentano ma subito più influenzato dal Morelli (soggetti di storia), dal 1884 si accostò alla scena di genere di colorismo brioso, presto passando al paesaggio animato da figurette (scorci di mercati e di affollate strade partenopee) e, dal 1910, anche alla marina (prima solo saltuariamente), con espliciti riferimenti fra Pratella e Casciaro. Il suo pennelleggiare facile, svelto e sovente affrettato, il folklorismo che perva dei suoi oli, hanno guadagnato al Ricciardi Oscar (1864 - 1935) un mercato più vasto di quello nazionale. Fra i minori napoletani caratteristici e dalla pittura facile e gradevole, è forse quello ancora più largamente abbordabile per prolificità e valutazioni anche se, da alcuni anni, esse hanno conosciuto incentivazioni: innumerevoli tavolette e piccole tele applicate su cartone, da 2 a 4 milioni di Lire mediamente; sino a massimi di 10/12 milioni i più rari oli di medie dimensioni e di molto impegno. Record d'asta di 24,4 milioni di Lire a Londra, nell'ottobre 1990.

(Il valore dei dipinti dell’Ottocento e del primo Novecento. X edizione, 1992 – 1993. Umberto Allemandi & C. Editore)


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OSCAR RICCIARDI
Titolo: VIALE ALBERATO Olio su tavola, 35 x 23 cm

Pittore autodidatta, parente per parte di madre di Bernardo Celentano, riuscì con tenacia e dipingendo prevalentemente dal vero, a raggiungere in breve: una propria fisionomia artistica che gli consentiva di imprimere ai suoi lavori, grazie alle felici ed equilibrate scelte tonali una nota di personale eleganza. Prolifico pittore impres­sionista di paesaggi e di scene di genere predilesse raffigurare, in opere di piccolo formato, marine e vedute urbane con scene di vita quotidiana, eseguite con un gusto semplice ed un equilibrato croma­tismo che lo fece apprezzare dal pubblico specie quello dei forestieri per i quali lavorò di preferenza. L'artista partecipò alle mostre della Promotrice napoletana nel 1881 e 1884 con due composizioni storico romantiche, che restano episodi isolati nella sua produzione, raffigu­ranti "Fanfulla si accinge a partire da San Marco" e "Servite Domino in laetizia" che furono ambedue acqui­state dalla Provincia di Napoli, a quella del 1883 presentò un acque­rello intitolato "Ines". Alla mostra del 1884 e 1888 presentò "Interruzione piacevole", "Rimembranze di Casamicciola" e "Dall'antiquario" che furono acquistate dal duca di Martina. Il Ricciardi partecipò inoltre: alla Esposizione Nazionale di Palermo del 1891/92 con una replica di "Dall'antiquario", a quella di Milano del 1894 ove ripropose "Dall'antiquario" ed una "Amalfi"; alla Esposizione Nazionale di Torino del 1898 con "Porta Capuana"; alla Prima Quadriennale di Torino del 1902 con "Campania felice" ed alla Seconda del 1908 con "Una via della vecchia Napoli" ed alla Esposizione Nazionale d'Arte tenutasi a Napoli nel 1916 con "Cipressi" e "Mercato".

(Roberto Rinaldi – Pittori a Napoli nell'Ottocento)


 
Di Admin (del 18/03/2014 @ 14:00:01, in Arte News, linkato 5541 volte)
{autore=caprile vincenzo}
Vincenzo Caprile (1856 - 1936), formatosi nell'atmosfera palizziana, indirettamente, attraverso lo Smargiassi, che riproponeva i temi della Scuola di Posillipo e poi di Rossano, si accosta in qualche modo all'estetica della Repubblica di Portici, lavorando e studiando lungamente in compagnia di Federico Rossano e di Alceste Campriani; ma il pittore non si adatta a un indirizzo determinato, pur avendo, insieme agli amici «porticesi», anche una certa propensione alla adozione della «macchia».

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"Ritratto"
olio su tavola 26,5 x 40,5 cm


Questa bella opera di Vincenzo Caprile è inedita. Il soggetto è molto probabilmente il fratello del pittore. L'opera è firmata "V. Caprile" a punta di pennello nel colore sulla destra della tavola. Le prove di pulitura confermano che la firma è coeva al dipinto. Sul retro è iscritto: "Il dipinto a tergo è opera autentica del pittore Vincenzo Caprile. Tito Diodati." L'autentica, riportata in foto qui sotto, è di Tito Diodati (Napoli, 1901 - ?), figlio del pittore Francesco Paolo Diodati (1864 - 1940). E' stato pittore, restauratore, collezionista e grosso esperto d'arte napoletana. Anche la cornice è di epoca.

La sua natura di sperimentatore eclettico ed appassionato, lo porto ad orientarsi in parte anche verso la pittura aneddotica, che però in Caprile si esprimeva con ben altra «civiltà» compositiva e cromatica. Ne fanno fede il dipinto La dote di Rita, della collezione D’Angelo, un quadro dominato dal rosso della gonna del modello, un rosso che si ritrova anche ne L'interno rustico, mentre nel quadro Sossio e Maria Rosa, scena dall'impianto vagamente teatrale, ricca di episodi squisitamente pittorici, le due figure s'inseriscono nell'ambiente con l’evidenza della pittura realistica del Seicento. Ma, oltre che nella pittura di genere, Caprile si esprime felicemente nella pittura di paesaggio, in cui si ritrovano freschezza e grazia istintive. Paesisticamente egli predilige la natura di Positano e l’atmosfera decadente e raffinatissima dei motivi veneziani; cosi l’artista si divide tra i due temi preferiti, trovando nella natura a lui più congeniale della costiera amalfitana i motivi elegiaci e niente affatto convenzionali di una pittura che proviene da lontano, dagli esempi di un certo vedutismo settecentesco, rivissuto dall'artista sul piano di una descrizione puntuale della vita e degli avvenimenti delle popolazioni marinare che popolano le rocce e le spiagge di Positano, di Amalfi e di altri paesi che s’affacciano sul golfo di Salerno. --

Diversa invece la pittura di ispirazione veneziana in cui dominano, accanto alle notazioni offerte dai solenni edifici che s’affacciano sulla laguna, l’atmosfera e la calma di una natura improntata al grigio atmosferico che si riflette nelle calli e nei canali della città. La visione di Venezia del Caprile, pur essendo contemporanea alla versione «eroica» del paesaggio dannunziano, evoca al contrario un’immagine dominata dalla malinconia, nei toni dimessi in cui sono tratteggiati le case, i canali, i ponti e le gondole, sullo sfondo di una Venezia a misura d'uomo. Ma il dato più clamoroso di Caprile è nella sua ritrattistica, nella quale, stranamente, si avverte l’influenza della pittura nord-europea, in specie di Munch, come dimostrano il ritratto Fanciulla di Positano e, soprattutto, un ritratto del padre dell’attuale proprietario dell’albergo «Il covo dei Saraceni» della marina di Positano, che ha la potenza espressiva e la deformazione dolorosa delle opere del grande pittore norvegese.

Paolo Ricci (da "Arte e artisti a Napoli", 1981)--


vincenzo-caprile-retro
 
Di Admin (del 16/05/2014 @ 00:00:01, in Arte News, linkato 3471 volte)
{autore=persico mario} Mario Persico è un mito! Amo la sua arte e provo una profonda ammirazione per la sua persona. Qui presento un disegno a tempera su cartoncino nero degli anni Cinquanta: Carro Funebre!

mario-persico-carro

MARIO PERSICO Titolo: CARRO FUNEBRE Tempera bianca su cartoncino nero, 67 x 95,5 cm del 1959

L’arte di Mario Persico, nato a Napoli nel 1930, appartiene alla storia dell’avanguar­dia napoletana sin dal suo primo manifestarsi. Allievo di Emilio Notte all’Accademia di Belle Arti, Persico raccoglie le sollecitazioni provenienti dalle sperimentazioni sul­la materia e dalle “vertigini cosmico-nucleari” della pittura di Mario Colucci. Nel 1955 aderisce ufficialmente al Movimento Nucleare di Baj e Dangelo; Gioia verde, dello stesso anno, mostra un impianto informale da cui emergono zone di addensa­mento cromatico vagamente organiche.

Nel 1958 con Biasi, Del Pezzo, Di Bello, Fergola, e LuCa (Luigi Castellano) fonda il Grup­po 58, la cui importanza, nell’attardato contesto culturale napoletano, va ben oltre le dichiarazioni di poetica pronunciate.

Al 1959 datano il Manifeste de Naples, feroce e irridente critica all'astrattismo, la prima personale alla Galleria Senatore di Stoc­carda e il lavoro editoriale - redazione e grafica - per la rivista “Documento Sud”, che proseguirà anche nella successiva av­ventura di “Linea Sud”.

L’opera Robot del 1961 rispecchia l’indirizzo intrapreso dalla sua nuova figurazione grazie all’utilizzo di materiali extra-pittorici: bottoni, rondelle, carte, congegni meccanici. Dal 1963 produce “oggetti praticabili”, strutture polisignificanti che traducono la poetica dell’indeterminazione e aprono lo spazio dell’arte ad una infinibilità di letture.

Nel 1966 illustra l'Ubu Cocu di Alfred Jarry, padre della Patafisica, tradotto in italia­no da Luciano Caruso. Alla fine degli anni Sessanta, risalgono i primi Segnali, gli Og­getti Ammiccanti e le Gru Erotogaie.

Le sedie dell’isteria e Le sedie della tortura realizzate tra il 1971 e il 1975, sono un’amara riflessione sulla condizione umana che genera da sé i suoi strumenti di tortura, oltre che uno studio sulla meccanica del Quattrocento. Nel 1973, con la realizzazione dei disegni per i costumi e le scenografie per Laborinthus II di Luciano Berio il suo lavoro incontra anche il mondo teatrale. Agli anni Ottanta appartengono il ciclo intitolato Ta­vole della Memoria e la serie dedicata alla rivisitazione di alcune opere di Courbet.

Patafisico per eccellenza per quella sua “visione magica e ambigua della realtà” (Martini), e membro del gruppo napoletano sin dalla sua costituzione nel 1965, Per­sico assume la carica di Rettore Magnifico dell’istituto Partenopeo nel 2001. Finalmente nel 2007, la mostra personale al Castel dell'Ovo di Napoli ha raccolto un cospicuo numero di opere attraverso cui rileggere la storia cinquantennale di un ar­tista intransigente che, “fuori dall’occhio infuocato del dio mercato”, continua a co­struire immaginifici spazi di resistenza.

 

Maria de Vivo (da 9centoNapoli 1910-1980 per un museo in progress. Electa Napoli)

 
Di Admin (del 21/05/2014 @ 00:00:01, in Arte News, linkato 5848 volte)
{autore=zollo giuseppe}
giuseppe-zollo-napoli-danzante

Autore: GIUSEPPE ZOLLO (Napoli, 1960)
Titolo: NAPOLI DANZANTE
Tecnica e superficie: ACRILICO SU TELA DI JUTA
Dimensioni: 46 x 120 cm
Anno: 2014

Tutti i sensi. I colori, i sensi e l'armonia sono predominanti nell'attuale fase di Giuseppe Zollo. La sua natura creativa é espressa con una stimolante sincronia, un lavoro in cui l'ispirazione arriva dalla sublimità musicale, poetica e pittorica. Un compasso lirico che si manifesta e si accenna trasmettendo una grande vitalità colorata per mezzo delle sue "tracce". Zollo riproduce il sentimento, nel confronto dell'immaginario, da quello che poteva essere reale e ideale. Con i colori forti, luminosi e tante tonalità, fa delle sue opere un'esasperata fonte di movimento e trascendenza, proponendo viaggi ineguagliabili e senza limite all'immaginario. Nella frammentazione del suo processo creativo elabora e genera l'essenza di una pittura che costantemente si rinnova e quotidianamente si afferma con precisione nel "romanticismo informale" dell'attualità moderna. Le sue opere riproducono non il figurativo, ma un "mondo interiore" di virtù poetica dove la realtà fisica si mescola con un intimo mondo psichico, inducendo lo spettatore a percorrere cammini riflessivi. (Monica Martins)


giuseppe-zollo-brezza-dorata

Autore: GIUSEPPE ZOLLO (Napoli, 1960)
Titolo: BREZZA DORATA
Tecnica e superficie: ACRILICO SU TELA
Dimensioni: 50 x 120 cm
Anno: 2014

 “La pittura come materia da amalgamare. Riprodurre le forme, cercando di infondere vita, atmosfera, sensualità ed emozioni. In questo mi riconosco se si parla di pittura. Essa è l’eterno gioco di cavalcare la tèchne; il saper fare, per dare forma alla propria immaginazione, quel compiacersi di riuscire che ti porta sempre più avanti. Ecco così va amata la pittura. L’arte, poi… verrà come l’alba e aprirà il nuovo giorno”. (Giuseppe Zollo)


giuseppe-zollo-una-sola-luce

Autore: GIUSEPPE ZOLLO (Napoli, 1960)
Titolo: UNA SOLA LUCE
Tecnica e superficie: ACRILICO SU TELA
Dimensioni: 50 x 120 cm
Anno: 2014


Giuseppe Zollo nasce a Napoli nel 1960, nel 1978 si diploma al Liceo Artistico di Napoli, successivamente frequenta la Facoltà di Architettura di Napoli per due anni poi, decide di iscriversi all'Accademia di Belle Arti di Napoli, scegliendo di seguire il corso di pittura del Maestro Domenico Spinosa, diplomandosi nel 1985. Da una formazione pittorica informale, caratterizzata dall'insegnamento del Maestro Spinosa, in seguito sceglie la pittura figurativa per condensare le proprie esperienze artistiche; stimolato dalla poetica di Rabindranath Tagore, che, nella sua poesia volta al dialogo, alla ricerca costante del Dio, dell'Uno, insomma dell'Essere Creatore, rende soave la creatività. In una sua poesia si legge: "mi tuffo nell'oceano delle forme, cercando di trovare la perla, perfetta del senza forma". Spunti tecnici Rubens, Klimt, i disegni di Mucha, il colore di Derain, il realismo di Monet, l'estetica di Matisse.

 

giuseppe-zollo-terrazza-sul-golfo-di-napoli

Autore: GIUSEPPE ZOLLO (Napoli, 1960)
Titolo: TERRAZZA SUL GOLFO DI NAPOLI
Tecnica e superficie: TECNICA MISTA SU CARTA DA PARATI
Dimensioni: 55 x 115 cm
Anno: 2014



CICLO "I COLORI DI NAPOLI": LE ALTRE OPERE DI GIUSEPPE ZOLLO
giuseppe-zollo-napoli-acquerello acquerello
su carta
15x50 cm
zollo-napoli tempera
diluita
su carta
24x30 cm
zollo-azzurro tempera
diluita
su carta
24x30 cm
giuseppe-zollo-azzurro acrilico
su tela
30x40 cm
zollo-azzurro-dinamico tempera
diluita
su tela
30x40 cm
zollo-napoli-verde acrilico
su tela
48x120 cm
zollo-napoli-50x60 acrilico
su tela
50x60 cm
zollo-rosso acrilico
su tela
50x60 cm
zollo-lucente acrilico
su tela
50x120 cm

 
Di Admin (del 30/05/2014 @ 00:00:01, in Arte News, linkato 5927 volte)
{autore=lippi raffaele} Raffaele Lippi (Napoli, 1911 - Napoli, 1982) è uno degli artisti più originali del Novecento napoletano. Qui presentiamo le nostre opere disponibili (e le relative autentiche) con alcuni cenni biografici e critici.

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"BIMBO" OLIO SU TELA 27 x 18,7 cm. L'opera è firmata Lippi in basso a sinistra.
A tergo il cartiglio della Galleria Mediterranea e il timbro Lippi sul telaio

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Raffaele Lippi (Napoli, 1911 - 1982). Sostanzialmente autodidatta ed estraneo all'ambiente artistico napoletano, Lippi esordisce nel '31 con la partecipazione a una mostra dei GUF al Maschio Angioino. Il ritrovamento alcuni anni fa di una ventina di olii dipinti tra il '25 e il '44 ha consentito di correggere l'ipotesi secondo cui il giovane artista si sarebbe formato al seguito della pittura "sobborghista" di Crisconio (P. Ricci, 1984). I dipinti recuperati documentano invece una prevalente attenzione verso certi aspetti del Novecento italiano e segnatamente verso l'ultima stagione metafisica di Morandi, Sironi e Carrà (M. Corbi, 2004). L'artista frequentava le lezioni serali della Libera Scuola di Nudo, nell'Accademia di Belle Arti, quando, nel '42, dovette partire per il fronte russo. Con la disfatta dell'esercito italiano, riuscì a rientrare in Italia e a raggiungere Napoli. Tra il '45 e il '48 frequentò la cerchia dei giovani che si riunivano intorno a Pasquale Prunas e alla rivista "Sud". Nella collettiva del Gruppo Sud del giugno del '48, Lippi espose il "Ritratto di Anna Maria Ortese col gatto" e alcune delle "Macerie", dove, attraverso una pittura stravolta e concitata, appariva una Napoli dolorosamente sfigurata dalla guerra. Nei primi anni'50 Lippi avvertì tutta l'urgenza dell'impegno politico, con risultati complessivamente modesti, ma apprezzabili per l'autenticità della testimonianza civile di opere come "Le quattro giornate di Napoli". Nel decennio successivo, crollate le dogmatiche certezze del programma neorealistico, la pittura di Lippi si presenta completamente rinnovata. La violenza gestuale e cromatica agita e deforma la compagine plastica, dando vita ad immagini di potente visionarietà. "Animale rosso" e "Animale rosso e giallo", del '60, rappresentano il momento più alto di questo processo, che salda con esiti di grande originalità la linea dell'action painting statunitense con quella del neoespressionismo europeo. Negli anni Settanta la città ritorna sulla scena con i segni di una quotidianità cupamente drammatica. Nelle opere degli ultimi anni le ombre si diradano e la luce, sullo sfondo di giardini e campagne o in interni appena accennati, scioglie la dura compattezza dei corpi. Poi, due quadri realizzati poco prima della morte, "Donna con cappello" e "Divano rosso", aprono inaspettatamente su una nuova tonalità espressiva, mentre il colore si rianima di improvvise accensioni timbriche. Proprio in quei giorni, su una parete del suo studio, Lippi aveva scritto: "Fantasia del colore". [Maria Corbi - 9cento. Napoli 1910-1980 per un museo in progress - Electa Napoli]


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"CAMPAGNA" OLIO SU CARTONE 30 x 41 cm.
L'opera è firmata LIPPI in basso a destra ed è pubblicata e descritta sul catalogo monografico edito da Paparo in occasione della grande mostra personale antologica al Castel dell'Ovo di giugno 2004
. Di seguito il passo tratto dal libro riguardante quest'opera e la successiva che è dipinta sul retro dello stesso cartone.

Ad un periodo precedente al 1937, dai verdi e dai rosa delicatissimi, sottilmente impastati in un velo di grigio, si può assegnare "Campagna", un paesaggio dalla fitta tessitura pittorica e dall'intonazione complessiva sobria e quasi aspra. Questo paesaggio scosceso e accidentato (probabilmente una campagna delle colline dei dintorni di Napoli, i Camaldoli o Capodimonte), dalla materia pittorica prosciugata e dai verdi aspri, affondati nelle rughe del terreno, è stato probabilmente eseguito dall'artista su un suo dipinto preesistente: a destra, verso il basso, s'intravede appena, largamente coperta da pennellate di colore sovrapposto, la scritta "R LIPPI XIII" che dovrebbe appartenere al dipinto sottostante, del 1935. Sul retro di questo paesaggio è dipinta una "Natura morta con bugia e caffettiera", anch'essa probabilmente da datare intorno al 1937. L'opera per la composizione con il piano del tavolo rialzato, a chiudere interamente lo spazio, e l'asciutta, energica resa del dato figurativo può ricordare alcune nature morte dipinte in quegli anni da ùcrisconio e da Vittorio. In particolare presenta caratteristiche molto simili una Natura morta di quest'ultimo del 1931 già collezione Ricci. [Maria Corbi - Raffaele Lippi. Dipinti e disegni 1925-1982 - Paparo Edizioni - 2004]


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"NATURA MORTA CON BUGIA E CAFFETIERA" OLIO SU CARTONE 30 x 41 cm.
L'opera è sullo stesso supporto, a tergo dell'opera "CAMPAGNA". Anche questa opera è pubblicata sul libro.

Personale del pittore Raffaele Lippi, che ha trovato, raggiungendo la maturità, il punto d'equilibrio della sua vocazione, conferendo alla fantasia pittorica quanto, fino ad ieri, tentarono di sottrargli il tradizionalismo naturalistico e l'oscurantismo neo-realistico. La sua forza coloristica che si trovava inceppata o addirittura insabbiata, s'ebbe, già alla mostra precedente e in varie altre occasioni, agio di vederla indirizzata a ben altri esiti e ben più vitali esperienze. Oggi son caduti gli ultimi diaframmi, e quella che poté essere l'estrema redazione del vero in senso strettamente obiettivo lascia il luogo ad una struttura cromatica, ad una organicità compositiva, ad una sollecitudine di stile, tutte covate dal proprio rigoglio interiore, dall'intimità d'un introspezione che si sviluppa in pieno accordo con la libera scelta dei motivi; e quando v'è d'apporto dall'esterno viene subito bruciato al calore d'una fantasia che ne trattiene solo l'emozione sensibile, il contraccolpo emotivo. Noi da anni, e in occasioni molteplici, abbiamo avvertito quale richiamo d'orientamento e fruttuosa direttiva per gli artisti meridionali quella dell'espressionismo liberamente inteso, che è la via più consentanea al particolar genio del temperamento nostro nonché della nostra tradizione. Esso s'avvale del naturalismo e lo sorpassa, del realismo assume solo la piattaforma di lancio, inoltrando ogni spunto e suggestione sempre più addentro alla sfera dell'attività creatrice. E ci pare che in questa zona siano riscontrabili, in una commistione di figurativo e d'astratto conciliati dalla vitalità del colore, le più persuasive riuscite dei nostri artisti migliori. E perciò il riconoscimento di tale posizione, e della sua legittimità, da parte di uno spirito acuto, esperto e lungimirante (anche nel campo dell'attualità artistica) quale quello di Ferdinando Bologna, presentatore della mostra, ci ha confermato la veridicità dell'asserto indicativo. Lippi, con la sua materia combusta, che pur si organizza in sembianze evocative, rivela esser le sue radici affondate nella storia della fantasia pittorica nostra, dal drammatico Seicento alle irruenze di un Mancini, ma accusando un accento nuovo e suo proprio, che consiste in quella figuralità gravemente meridionale che pur conosce improvvise accensioni poetiche, intimità contemplativa, scatti di energia cromatica, distensioni e allucinazioni di pretta sensibilità moderna. [Carlo Barbieri - da Il Mattino - 3 aprile 1957] .


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"MANICHINO CON DRAPPO" OLIO SU CARTONE 35 x 21 cm DEL 1940.

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L'opera è firmata e datata Lippi 940 in basso a sinistra. A tergo cartiglio della galleria Marciano Arte, cartiglio dell'esposizione alla mostra di Castel dell'Ovo e timbro dell'archivio Raffaele Lippi.
Il dipinto è incorniciato. Pubblicato e descritto sul catalogo. Qui il testo:

Rimane da accennare a un ultimo dipinto, probabilmente solo un abbozzo, datato 1940. Si tratta di "Manichino con drappo", dalla cui superficie granulosa e sbiancata affiora una scena dai contorni sfumati e dal sapore vagamente metafisico. In primo piano la testa di una statua rovesciata, più indietro, sullo sfondo, il manichino già incontrato in altri quadri, ma qui con l'aspetto di uno strano personaggio recitante che regge in mano un lungo drappo nero. [Maria Corbi - Raffaele Lippi. Dipinti e disegni 1925-1982 - Paparo Edizioni - 2004]



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"TRONCHI N.3" PASTELLI SU CARTA 50 x 65,5 cm DEL 1955.

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L'opera è firmata e datata Lippi 955 in basso a sinistra. A tergo cartiglio dell'esposizione alla mostra di Castel dell'Ovo.
Pubblicato in bianco e nero e descritto nella monografia così:

I "Tronchi" sono la prova di quanto acuto, gia a quella data [1955] fosse nell'artista l'avvertimento dell'angustia dei limiti entro cui i realisti tendevano a comprimere gli intenti dell'arte e rivelano una rinnovata capacità di cogliere entro il dato reale una vis formativa che eccita l'immaginazione dell'artista e la spinge a trasfigurare visionariamente i ceppi e i rami tagliati in quieti organismi viventi. [Maria Corbi - Raffaele Lippi. Dipinti e disegni 1925-1982 - Paparo Edizioni - 2004]



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"PAESAGGIO" TECNICA MISTA SU CARTONE 51 x 68 cm DEL 1956.

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L'opera è firmata e datata Lippi 56 in basso a destra. A tergo i cartigli delle esposizioni alle mostre di Catel Sant'Elmo del 1992 e di Castel dell'Ovo del 2004.
Pubblicato in bianco e nero e descritto nel libro edito da Paparo con le seguenti parole:

L'"Omaggio a Picasso" del 1956, che è già di per sé, fin nel titolo, un'indiscutibile dichiarazione d'intenti, il "Paesaggio", dello stesso anno, e l'ispida, aggrovigliata "Zuffa dei gatti". del 1957, dimostrano come Lippi avesse saputo riaccostare il grande maestro spagnolo con un profitto ben più incisivo di quello che ne aveva ricavato negli anni tra il 1948 e il 1951 attraverso il filtro della vulgata guttusiana. [Maria Corbi - Raffaele Lippi. Dipinti e disegni 1925-1982 - Paparo Edizioni - 2004]



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"FIGURA" TECNICA MISTA SU CARTONCINO 70 x 50 cm DEL 1968.

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L'opera è firmata e datata Lippi 68 in basso a sinistra. Autentica su foto di Franca Lanni: "Io nipote di Raffaele Lippi dichiaro che l'opera qui fotografata è di Raffaele Lippi. Franca Lanni"

È difficile sottrarsi alla tentazione, quando si parla della pittura di Raffaele Lippi, di parlare del pittore, di tentarne un ritratto. E non è una tenta­zione indebita; poiché Lippi ha un’idea della pittura come diretta partecipazione di sé, come testimo­nianza in prima persona. Sicché i due termini, la pittura e l’uomo, appaiono strettamente uniti, come in pochi altri artisti. L’ho conosciuto solo pochi anni fa, lui che lavora a Napoli da tanto e che è stato uno dei protagonisti delle vicende artistiche napoletane, soprattutto nell’immediato dopoguerra. Abitava (non so se vi abita ancora) in una sorta di eremo, su una collina, in una casa fatta di grandi stanze anti­che, che davano un senso di chiusa solitudine e di isolamento. Fu un incontro fatto di cose presenti, ma più di ricordi, di ciò che era stato fatto, qui a Na­poli, da lui e da pochi amici per scuotere la pesante cappa della tradizione. Parlammo del Gruppo Sud, che fu una sorta di napoletano Fronte Nuovo delle Arti, in cui si ritrovarono insieme, per un momento artisti diversi, che avrebbero poi preso strade di­verse. Di quegli anni sono ormai note le Macerie, quadri dipinti con un colore infuocato e aggressivo, aspri e terribili, ma con improvvisi abbandoni. Pro­prio come lui. Lippi, scontroso e dolce. Anche que­sti quadri di oggi, esposti alla S. Carlo, conservano qualcosa di quegli umori: anche ora Lippi dipinge per parlare in prima persona, crede fermamente ed ostinatamente alla pittura come a un modo di essere presente in mezzo agli altri, di dare una testimo­nianza di sé e un giudizio sulle cose. Vitaliano Corbi, nella presentazione al catalogo, ha colto bene que­sta ostinazione di Lippi, questo vizio della pittura. «La scelta e la capacità d’intervento dell’artista non possono compiersi che all’interno di quel momento privilegiato e conclusivo che è la sua opera; in essa la drammaticità del reale non ha che lo spessore di un’ombra». Perciò Lippi è ancora un pittore-pit­tore, che crede solo al presente assoluto dell’opera, senza farsi tentare dalle profezie e dalle illusioni consolatrici. [Filiberto Menna - da Il Mattino - 27 aprile 1969]

 
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