Alcuni anni fa, a Ceglie Messapica, in Puglia, si tenne un convegno di studi su Emilio Notte inserito nel quadro del Futurismo italiano. Dagli atti di quel convegno, oggi sta per essere pubblicato, in collaborazione con l'Università di Lecce, un libro davvero scientifico, cui hanno partecipato insigni studiosi di questo Movimento che fu una gloria indiscussa del nostro Novecento. Il grande volume comprende anche illuminanti saggi di Gino Agnese, presidente della Quadriennale di Roma, Enrico Crispolti, il più autorevole esperto del Futurismo in arte, del professor Antonio Giannone dell'Università di Lecce, nonché due lunghe interviste raccolte e trascritte da Michele Ciracì, in cui Emilio Notte racconta la sua vita, e scritti inediti del Maestro risalenti agli anni dal 1915 al 1920, tuttora conservati nell'archivio di Primo Conti, dove sono raccolti i più importanti documenti del Futurismo.
Fin qui nulla di strano: Notte è uno dei grandi esponenti del Futurismo, e un tale riconoscimento gli è dovuto. Il dato interessante è che sia la Puglia a manifestare attenzione sulla sua opera. Perché Notte, a Ceglie Messapica, vi nacque soltanto, e a Lecce non c'è mai stato, né come artista né come semplice turista. Egli, infatti, svolse la sua attività di docente e artista a Milano, Firenze, Venezia, Roma e infine a Napoli. Eppure è la Puglia che lo ricorda con orgoglio, consapevole del fatto che il suo nome è una gloria per l'intera regione.
Rallegra il cuore che in qualche parte dell'Italia si coltivi la memoria di personaggi illustri. Dovremmo prenderne esempio anche noi napoletani, perché Emilio Notte, a Napoli, tenne la cattedra di Pittura all'Accademia di Belle Arti per oltre quarant'anni e per un decennio ne fu anche direttore. Ma non ce lo ricordiamo più. Eppure egli è la figura chiave nel panorama artistico della nostra città. Tralasciamo il fatto che a Venezia siano stati suoi allievi Mirko e Afro Basaldella, a Roma il grande Scipione, a Napoli egli ha avuto come allievi Mimmo Rotella, Lucio Del Pezzo, Guido Biasi, Mimmo Jodice, Armando de Stefano (che fu anche suo successore alla cattedra di Pittura), Mario Colucci, che fu suo assistente, tanto per citarne alcuni fra i più rappresentativi, nonché tutta la lunghissima schiera di artisti che ancora oggi operano conpiù o meno fortuna nella nostra città. Ditutti questi, Emilio Notte è stato il Maestro per antonomasia.
Quando negli anni Trenta giunse a Napoli, aveva alle spalle una robusta cultura artistica europea che spaziava da Cezanne all'Espressionismo tedesco, dallaSecessione al Futurismo, oltre a una fittarete di rapporti con gli esponenti più autorevoli della cultura italiana del Novecento, come Filippo Tommaso Marinetti, Carlo Carrà, Ardengo Soffici, con Massimo Bontempelli del Realismo Magico, con Arturo Martini, con Margherita Sarfatti, che curò le sue mostre milanesi. Napoli, in quegli anni, viveva una stagione artistica a dir poco mediocre: di Picasso non si conosceva neppure il nome e dove, se si eccettua qualche isolato come Eugenio Viti, l'arte si trascinava sull'oleografismo più deteriore. Con un paziente e appassionato lavoro egli svecchiò e preparò il terreno a quella che sarebbe stata l'avanguardia degli anni Cinquanta e Sessanta, formando artisti che avrebbero dialogato con l'Europa, come il MAC napoletano, il Gruppo Sud, Il Gruppo 58, e la Pop Art. Non ci sono stati artisti napoletani che non siano usciti dalla scuola di Emilio Notte. Non fosse che per questo Napoli dovrebbe tributargli un doveroso riconoscimento con una mostra antologica completa e scientifica.
È giusto accogliere nella nostra città artisti di fama mondiale, ma insieme a questi sarebbe nostro dovere ricordare anche le nostre glorie passate e, presenti. Soprattutto passate, altrimenti ci destiniamo al colonialismo culturale. Sono venti anni che Roma propone grandi mostre della Scuola Romana; Bologna fa altrettanto con i suoi artisti, per non parlare di Milano e di Torino. Ogni tanto bisognerebbe ricordare che Mnemosine (la Memoria), era la madre delle Muse (le arti). Ars longa, vita brevis, diceva Orazio, nel senso che l'arte oltrepassa la vita umana e la perpetua. E solo per questo, che gli artisti si dannano l'anima: per sopravvivere. Fatica inutile, per quelli napoletani, senza la Memoria.
Mercoledì 30 giugno, in occasione dell'apertura al pubblico degli spazi espositivi del SUDLAB, centro di ricerca arti e nuove tecnologie applicate alla cultura, verrà presentata la preview dell'art project Mediamorfosi 2.0. Contributo alle lingue dell'arterità, curato da Gabriele Perretta - head curator e Raffaella Barbato - art curator.
Mediamorfosi 2.0, progetto che si articolerà in tre diversi momenti espositivi coinvolgendo artisti di rilievo nazionale ed internazionale, costituirà il luogo di indagine delle contaminazioni e delle relazioni generatesi nell'ultimo decennio tra la produzione artistica ed i (mass)media; presenze -alcune latenti- che scandiscono e modulano il nostro quotidiano quali video, suono, linguaggi di programmazione, ipertesti, codici qr, tag, markup, nanotecnologia, social network ed altro ancora.
Ornella De Martinis, Mario Picca, Maria Bellucci, Pasqualina Caiazzo, Mimmomaria, Luigi Calì presenteranno opere di linguaggio e tecnica diversi, spaziando dall'informale al concettuale, realizzate appositamente per l'occasione.
Dal 21 maggio al 28 giugno 2010 alla Domus Artis Gallery di Napoli sono presentate oltre quaranta opere di Andy Warhol in una mostra dal titolo "Omaggio a Drella", a cura di Andrea Ingenito.
Di Admin (del 20/05/2010 @ 12:54:40, in Arte News, linkato 1729 volte)
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Autore: FRANCESCO SCHETTER (1955) Titolo: PENSIEROSA Tecnica e superficie: PASTELLO SU CARTONCINO Dimensioni: 50 x 70 cm Anno: 2009
Dopo aver frequentato l'Istituto d'Arte con fervida passione, si dedica alla pittura, traendo forza e vivacità dagli ambienti artistici campani, ma tenendosi sempre nella dirittura di una propria impronta rappresentativa.
“Il poderoso incombere, nella più recente produzione dello Schetter, di figure umane, atteggiate in posa di naturalezza estrema, parrebbe lasciarci indifferenti se non cogliessimo, dopo il primo distratto sguardo, un sentimento di profonda e sofferta drammaticità. Quel tanto che basta per fuorviare ogni sospetto di un virtuosismo artistico fine a se stesso. Alla base del suo operare, comunque, un limpido segno grafico e pezzature di poche tonalità dominanti di rossi affogati, turchini profondi, bianchi luminosi, verdi intensi e perfino favolosi viola. Il tutto per forme esaltate da una sinuosa e irrequieta vitalità!... […] Quella per la rosa è una sua passione viscerale, un interesse senza limiti per un fiore notoriamente stupendo. Questo, a prima vista, parrebbe giustificare l'exploit artistico davvero sorprendente dell'Artista […]. Un roseto che incanta con le sue mille tessere coloristicamente interessanti. Ecco, forse è questo che alla fine giustifica la ricerca e l'amore di un artista come Franco Schetter per la rosa. Mille sono infatti le sue varietà botaniche e mille le maniere a disposizione dell'Artista per rimirarla e fermarla con pennellate rapide e mai ripetitive: mille ancora i profumi che paiono inebriarci e sempre mille, per illusione, gli scenari che paiono celarsi ed aprirsi a un tempo dietro al roseto…” (Matteo de Musso)
SAINT-NON JEAN CLAUDE RICHARD(De). Voyage pittoresque ou Description des Royaumes de Naples et de Sicile. Paris, (Clousier). 1781-86. 4 parti in 5 voll, in folio mass.: I vol. occh., front., carta di dedica alla Regina, XIII pp.. 1 cc. nn., 252 pp. num., 3 tavv. a doppia facciata inc. su rame, 48 tavv. inc. su rame, 4 tav. di medaglie. II vol. 2 cc. nn. XXVIII 283 pp. num. (1 cc. nn. fra le pagg. 78-79, e 3 cc. nn. fra le pp. 108-109), 1 tav. a doppia facciata inc. su rame, 3 tavv. sempre inc. su rame (compresa la famosa tavola del Fallo). 3 tavv. delle medaglie. III vol. 2 cc. nn. XL, 201 pp. num. (2 cc. tra le pp. 130-131, ed ancora 22 pp. num.), 65 tavv. inc. su rame, 3 tavv. di medaglie. IV vol., 2 cc. nn., XVIII pp., num., 2 cc. per l’indice delle tavole, 71 tavv. inc. su rame, 3 tavv. delle medaglie. V vol., 2 cc. nn., IV pp. 1 cc. nn. per l’indice delle Tavole, da pag. 267 a pag. 429, 21 tavv. inc. su rame, 2 tavv. di medaglie. Magnifico lavoro pubblicato in lussuosa veste editoriale dall’abate Saint-Non. La sontuosa opera è corredata di 542 incisioni eseguite dai più grandi artisti del suo tempo. Edizione originale di primissima tiratura su carta di lusso. Rarissimo a reperirsi completo della tavola del Fallo e delle 14 tavole delle medaglie che mancano sovente.
Jean-Claude Richard de Saint-Non (Parigi, 1727 – 1791), meglio conosciuto come Abbé de Saint-Non, è stato incisore, disegnatore, umanista, archeologo, mecenate e viaggiatore. L'intraprendenza e il fascino dell'abate di Saint Non, sembrano quasi in contrapposizione con la figura di ecclesiastico. Il famoso ritratto conservato al Louvre ed eseguito dal suo amico artista Honoré Fragonard rispecchia in pieno la sua personalità.
Jean Claude Richard de Saint-Non a vent’anni è già consigliere ecclesiastico del Parlamento di Parigi. Superata la trentina, si dimette dal proprio seggio di consigliere per dedicarsi ad una vita “da artista”, sempre in viaggio alla scoperta degli angoli “pittoreschi” d’Europa. La vendita delle stampe, e poi la grande impresa editoriale del Voyage saranno la sua principale fonte di sostentamento. Dal 1760 Saint-Non, con Fragonard, Hubert Robert e diversi altri artisti, visita tutta l’Italia. Raccoglie appunti scritti e grafici e comincia ad accumulare un vastissimo patrimonio di fogli di pittori, disegnatori, architetti, incisori. Nella raccolta di Saint-Non figurano ben venticinque pittori (tra i quali, Paris, Desprez, Volaire, TaravaleVernet) e quasi settanta incisori.
Saint-Non comincia a lavorare al grande progetto che resta uno dei documenti più importanti dell’epoca. Nel 1781 esce il primo dei cinque volumi (pubblicati annualmente) del Voyage pittoresque ou description des Royaumes de Naples et de Sicile. Vastissima impresa tipografica, i libri raccolgono appunti di un diario di viaggio, corredati da un totale di 542 tavole all’acquaforte. È un successo. Le stampe dei volumi di Saint-Non sono lo specchio del gusto di un’epoca: da un lato, le vedute delle città, i paesaggi, le distese di rovine e gli “esterni” del Grand Tour; dall’altro, la “schedatura” dei dipinti delle chiese e dei reperti archeologi. Dalle tavole organizzate da Saint-Non emerge un’immagine dell’Italia del Sud che è al tempo stesso entusiasmante e malinconica. Osserviamo una sfilata di meraviglie dell’arte e della natura, eppure tutto è come avvolto da un’atmosfera di sottile decadenza, di agrodolce folclore; per esempio i templi di Paestum e di Agrigento sono entusiasmanti, ma anche coperti di rampicanti e di erbacce, da qui il termine “pittoresco”.
La pittura di Calibé è improbabile perché le verità assolute appartengono solo ai dogmi, mentre in arte non c’è soluzione per chi voglia anzitutto garantire il suo cammino o restare ad ogni istante giusto e padrone assoluto di se stesso ; perché in ogni singolo artista il modo di essere dell' uomo è ambiguo nel senso che non è né soggettivo, né oggettivo.
L' improbabilità allora non vuoi dire che la concettualità e l’action dell’artista siano confuse e incerte, ma vuoi indicare che ogni attività umana, e soprattutto la creatività, include necessariamente l’esperienza soggettiva, che ha in se l’oggetto, e l’apparire in un oggetto, che risulta costituito da operazioni soggettive, come più o meno suggerisce Merleau-Ponty, il quale fa rivelare, inoltre, come nessun lato dell’oggetto si mostra se non nascondendo attivamente gli altri, denunciandone l’esistenza nell’atto di nasconderli.
Perciò vedere è, per principio, vedere e far vedere più di quanto si veda; accedere e far accedere non ad una mancanza, ma ad una latenza. Tutto ciò comporta il coinvolgimento attivo dello spettatore che scopre le dimensioni, le linee di forza, gli scarti che segni e forme obliquamente suggeriscono in quanto alone di invisibilità presente.
In tal modo Calibé può tentare il meno probabile: porre nel corpo e nella carne della sua pittura due movimenti interni e trasversali; l’uno rettilineo, tendente all’ordine dell' eidos, l’altro circolare, esplosivo, nucleare, contraddittorio, improbabile come il moto delle comete, sospettato inverso a quello di tutti gli altri pianeti; assegnare al colore l’esplosione erotica dei caldi, ai freddi l’esplosione degli spazi invisibili; capovolgere nel regime diurno le immagini e le figure del regime notturno; immergersi nel nero, che è massimo assorbimento della luce, nel bianco che è matrice ed assenza di ogni materia colorata; può ispessire sino ad essere pantagruelico divoratore di im-pasti, assottigliare e ridurre sino a preferire l’astinenza minimalista dei francescani; può indurre l’ebbrezza dionisiaca e l’ek-stasis apollinea.
Compie soprattutto il suo viaggio a Citera con i suoi ospiti, visitatori sospesi, compagni di avventura.