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Breve storia sulla pittura napoletana dal Seicento ad oggi
Di Admin (del 08/03/2010 @ 00:00:01, in dBlog, linkato 35682 volte)
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Importanti correnti artistiche, e nomi illustri, si affermano a Napoli sin dal Seicento, grazie anche a sovrani illuminati come Carlo III.
L'arte napoletana assume una propria identità artistica proprio nel Seicento con alcuni importanti pittori che si fanno eredi della lezione del Caravaggio, che proprio a Napoli tra il 1607 e il 1610 soggiorna e sviluppa la sua arte.
Primo fra tutti fu Carlo Sellitto, non a caso definito il primo caravaggesco napoletano: opere di quest'artista d'origini lucane si trovano disseminate in diverse chiese della città e al Museo di Capodimonte. Fu il ritrattista più ricercato tra i membri dell'aristocrazia partenopea. Morì giovanissimo a soli 33 anni.
Ad essere maggiormente influenzato da Caravaggio è Battistello Caracciolo. Egli esprime appieno la grande rivoluzione caravaggesca delle tonalità della luce e dell'uso dell'ombra, abbandonando però gradualmente il realismo del “maestro” e avvicinandosi a modelli idealizzati classicisti: di lui si possono ammirare gli affreschi nella Certosa di San Martino.
Jusepe de Ribera, detto lo "Spagnoletto", nato nei pressi di Valencia giunse a Napoli nel 1616. La sua arte è violentemente realistica, accentuando Caravaggio anche nelle forti ombre in cui sono immersi i personaggi dei suoi quadri (molti dei quali a tema - ma non in stile - classico, come il "Sileno ebbro" al Museo di Capodimonte). Solo dopo l'incontro sempre a Napoli nel 1630 con Velàzquez, la pittura dello Spagnoletto diventa più chiara e colorata, attirando l'attenzione del re di Spagna che gli commissiona delle tele (oggi all'Escorial e al Museo Del Prado). A Napoli le sue tele di "Patriarchi e Profeti", nonché la "Comunione degli Apostoli", si trovano a San Martino.
Influenzato dal de Ribera e formatosi con Battistello Caracciolo fu poi Massimo Stanzione, affrescatore della volta del Gesù Nuovo e di San Martino e le cui "Storie del Battista" si trovano al Prado.
Da citare è poi Aniello Falcone, le cui opere si possono ammirare al Duomo, al Gesù Nuovo negli affreschi della volta della Sacrestia, e al Museo di Capodimonte: nella sua bottega si formarono altri importanti artisti napoletani, tra cui Micco Spadaro e Salvator Rosa.
La pittura di Micco Spadaro, il cui vero nome era Domenico Gargiulo, è nota per due diversi 'cicli tematici': il primo è quello dei paesaggi e delle vedute architettoniche, l'altro è quello della rappresentazione di eventi contemporanei, tra cui soprattutto la "Rivolta di Masaniello del 1647" ed "Eruzione del Vesuvio del 1631".
Salvator Rosa, nato a Napoli ed attivo anche a Roma e Firenze, fu uno dei più grandi artisti del secolo, riconosciuto in tutta Europa. Grande innovatore con una personalità poliedrica, abbandonò il barocco e la pittura di genere per dedicarsi alle tematiche più disparate, dalle battaglie all'arte sacra fino all'ultima ma fondamentale produzione di paesaggi selvaggi e fantastici di gusto quasi romantico.
Da citare inoltre Bernardo Cavallino, autore di tele religiose di gusto profano di grande luminosità e colore molte delle quali esposte a Capodimonte.

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Nell'ultima parte del Seicento dominano contemporaneamente - influenzandosi a vicenda - i due principali pittori del periodo, Mattia Preti e Luca Giordano. Il Preti, detto Cavalier calabrese perché nato in Calabria e fatto cavaliere da Papa Urbano VIII durante la sua attività a Roma, esegue pitture votive sulle porte della città dopo la peste del 1656-1657 affrescando poi la chiesa di San Pietro a Maiella.
Di Luca Giordano si è detto che abbia superato definitivamente la tradizione del barocco seicentesco inaugurando l'arte del secolo successivo con i suoi vivaci colori. I suoi affreschi al palazzo Medici a Firenze sono tra le opere più note di questo artista esposto a Madrid, Vienna ed altre parti d'Italia e che a Napoli ha affrescato tra l’altro la cappella del tesoro di San Martino.
Nel Settecento l’opera di Francesco Solimena, in parte erede del grande successo di Luca Giordano, ha risonanza europea per la sua attenzione a creare scene coreografiche e ricche di complesse architetture. A Napoli notevoli i suoi affreschi sulla "Virtù" nella sagrestia della chiesa di San Paolo Maggiore (1690) e le sue pale di santi quali "San Francesco rinuncia al sacerdozio" in Sant'Anna dei Lombardi. Solo dopo la partenza di Luca Giordano e il suo avvicinamento all'Arcadia, la pittura assume nuove sfaccettature in un certo senso più manieristiche ma più vicine al gusto dell'epoca, tra cui La cacciata di Eliodoro dal tempio (1725) nel Gesù Nuovo e soprattutto gli affreschi della Reggia di Caserta su temi più terreni e più laici.
Continuatore di Solimena è Francesco De Mura che si forma nella sua bottega e le cui opere risultano spesso di difficile attribuzione poiché il suo stile si accosta molto a quello del maestro.
Anche Corrado Giaquinto (nato a Molfetta) studia a Napoli presso Solimena, ma la sua lezione tardo-barocca viene unita alle prime correnti neoclassiche e all'intensità cromatica di Luca Giordano.
Una grande mostra al Castel Sant'Elmo e una in Germania, di recente hanno dato grande risonanza all'opera del napoletano Gaspare Traversi. Attraverso i suoi quadri può essere notata la sua attenzione ai modelli dei seicento napoletano, benché nell'ultima parte della sua vita l'ambiente più borghese di Roma lo porta ad aderire ai canoni illuministici.
La pittura napoletana si trasforma completamente nell'Ottocento, abbandonando ogni residuo tardo-barocco e inserendosi in un più vasto movimento artistico, paesaggistico e in parte romantico, che assume connotati propri con la Scuola di Posillipo tra il 1820 e il 1850. Questo movimento affonda le sue radici nell'arte paesaggistica di Micco Spadaro e del tardo Salvator Rosa. A questo va aggiunto anche il fenomeno dilagante di un'arte minore quale la pittura di paesaggi caratteristici da vendere ai tanti turisti giunti a Napoli.
A portare alla nascita di una vera corrente pittorica di questo tipo è Antonio Pitloo, giovane olandese che giunge a Napoli nel 1815, dopo un soggiorno a Parigi. Pitloo unisce tutte queste istanze pre-paesaggistiche e introduce per primo a Napoli la tecnica della pittura en plein air ("all'aria aperta", degli Impressionisti francesi), dipingendo in splendidi oli ricchi di luce ed effetti cromatici i paesaggi più classici della città partenopea.
Simile nel soggetto, ma piuttosto difforme nella tecnica, è invece l'arte di Giacinto Gigante. Dopo aver studiato con Pitloo, Gigante unisce le nuove tecniche acquisite con le sue abilità (era anche tipografo) e crea piccoli quadri - in maggioranza acquerelli - di paesaggi (Amalfi, Capri, Caserta, il Vesuvio) con un taglio quasi fotografico.
La Scuola di Posillipo vanta inoltre, artisti quali Achille Vianelli, Gabriele Smargiassi, Salvatore Fergola, Frans Vervloet, Gustavo Witting, ma esaurisce completamente il suo corso verso il 1860, lasciando brillare altre personalità slegate da questa corrente quali tra tutti Domenico Morelli, che operò completamente nell'Accademia di Belle Arti di Napoli (come studente, docente, direttore e presidente) e la cui arte fonde verismo a tardo-romanticismo a modelli neoseicenteschi.

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La pittura napoletana di inizio Novecento è influenzata dalle esperienze precedenti e soprattutto dalla Scuola di Posillipo, limitandosi ad un pittoricismo facilmente fruibile, pur in presenza di artisti di altissimo profilo tecnico ed artistico, quali Antonio Asturi, Gaetano Bocchetti, Giovanni Brancaccio, Antonio Bresciani, Leon Giuseppe Buono, Rubens Capaldo, Roberto Carignani, Alberto Chiancone, Vincenzo Ciardo, Luigi Crisconio, Nicolas De Corsi, Francesco Galante, Vincenzo Irolli, Ermogene Miraglia, Attilio Pratella, Oscar Ricciardi, Eugenio Scorzelli, Carlo Striccoli, Amerigo Tamburrini, Carlo Verdecchia, Gennaro Villani, Eugenio Viti. L'inizio del secolo vede comunque un gruppo di giovani artisti napoletani, tra i quali Eugenio Viti, Luigi Crisconio e Gennaro Villani, che in contrapposizione alla pittura accademica e ufficiale di quegli anni, in polemica con la pittura accademica del chiaroscuro e della prospettiva, rifiutando i temi storici e mitologici alla Morelli, si rivolgono con occhio attento alle esperienze impressioniste e post-impressioniste di oltralpe.

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Sempre ad inizio secolo anche Napoli subisce il fascino del futurismo, soprattutto con Emilio Notte e Francesco Cangiullo.
Sono di questi anni altri movimenti artistici napoletani come il "Gruppo Flegreo" che intendeva rivitalizzare la tradizione pittorica meridionale, quello degli "Ostinati", più vicino alle esperienze artistiche del '900 o i pittori del "Quartiere latino", accomunati da uno stile di vita e artistico bohemiènne; un caso a parte rappresenta Mario Cortiello lo Chagall napoletano.
Altri artisti, partendo dalla lezione crisconiana, guardando all’arte contemporanea nazionale e memori della tradizione del Seicento napoletano, hanno creato una linea pittorica alternativa e questi sono Raffaele Lippi, Armando De Stefano, Elio Waschimps.
È però il critico napoletano Achille Bonito Oliva, teorico della "Transavanguardia" a ridare, più di ogni altro, energia e respiro internazionale alla pittura napoletana e campana. La Transavanguardia, con caratteristiche peculiari in ogni artista, recupera la tradizione pittorica e il genius loci, superando il concettualismo dei movimenti artistici del '900. Ben tre dei "magnifici cinque" della Transavanguardia sono campani: Mimmo Paladino, Nicola De Maria e Francesco Clemente.
Vanno infine ricordate le ricerche artistiche di LuCa (Luigi Castellano), Errico Ruotolo, Carmine Di Ruggiero, Mario Persico, Renato Barisani, Domenico Spinosa e Salvatore Emblema.

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(fonte: it.wikipedia.org)