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Il Vesuvio di Andy Warhol
Di Admin (del 08/12/2013 @ 00:00:01, in Arte News, linkato 4566 volte)

Andy Warhol (Pittsburgh, 1928 – New York, 1987) ha avuto, negli ultimi anni della sua vita, contatti con l’ambiente napoletano grazie all’incontro con il gallerista Lucio Amelio. Proprio a lui si deve la tiratura in 100 copie numerate e poi firmate da Warhol dell’opera “Vesuvio” (qui proposta) per la mostra ‘Vesuvius by Warhol’ tenutasi a Napoli nel 1985. Questa tiratura grafica, esclusiva di Lucio Amelio, va ad aggiungersi a quelle ufficialmente riconosciute dalla Andy Warhol Foundation for the Visual Arts di New York sul Vesuvio, ciascuna delle quali, invece, numerate in 250 esemplari. Oltre alle opere multiple, la mitica mostra contava 18 tele tutte sul Vesuvio. Il Vesuvio è rappresentato sempre in un’eruzione dai colori brillanti come emblema di una città in fermento, fonte di continue ispirazioni a chi sa guardarla nella sua infinita vitalità.  

Così Andy Warhol su Napoli in un intervista a Il Mattino di quegli anni: “Amo Napoli perché mi ricorda New York, specialmente per i tanti travestiti e per i rifiuti per strada. Come New York è una città che cade a pezzi, e nonostante tutto la gente è felice come a New York. Quello che preferisco di più a Napoli è visitare tutte le vecchie famiglie nei loro vecchi palazzi che sembrano stare in piedi tenuti insieme da una corda, dando quasi impressione di voler cadere in mare da un momento all’altro. A Napoli c’è anche il pesce migliore, la migliore pastasciutta ed il vino migliore”. E ancora, sul Vesuvio:

''Ritengo che il Vesuvio sia molto di più di un grande mito, è una cosa terribilmente reale''.

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L'opera, in nostro possesso, è corredata di certificazione di autenticità e provenienza della galleria Rosini - Guttman & C. di Riccione, collezionisti e tra i massimi esperti di Andy Warhol in Italia.


La pop-art è stata la "corrente" artistica più longeva del Novecento, anche se il movimento in quanto tale ebbe poco più di un decennio di vita: il suo periodo eroico si può infatti collocare dalla fine degli anni 50 a tutti i 60.

I segni della vita quotidiana entravano massicciamente nella pittura e nella scultura e l'arte pop si apriva come una finestra sul mondo e come reazione all'espressionismo astratto, estremo introverso atteggiamento artistico, ma anche come interesse per la nuova comunicazione universale che nasceva e si propagava direttamente dall'esplosione della potente macchina economica americana.

Pei gli artisti pop la ricerca di se stessi non si basava sul rifiuto della realtà, ma diventava un mezzo per meglio offrirsi ad essa e viverla con tutte le forme secondo uno stile di vita socializzante: l'arte viene usata non in relazione all'arte in sé, ma in relazione alla vita di ogni giorno; bando quindi alla sofferenza per far posto al piacere della quotidianità, bando alle lacrime per fai posto al riso. E all’ironia.

In fondo, pei gli artisti pop, l'essere come fonte d'ispirazione artistica tende verso il benessere, a differenza dei predecessori americani dell'espressionismo e dell'action-painting.

In questo scenario Andy Warhol occupa un posto del tutto speciale.

Pur essendo stato il primo degli artisti pop a scomparire (nel 1987, mentre Lichtenstein è morto nel 1997 e gli altri sono ancora vivi e operanti), la sua arte sopravvive alla stessa epopea pop: mentre gli altri artisti sono oramai "storicizzati" e in qualche modo “sorpassati” dal vorticoso succedersi degli eventi artistici, più o meno deboli, degli ultimi decenni, l'arte di Andy Warhol è ancora oggi evidente in quasi tutte le forme di comunicazione e di espressione artistica: anche e soprattutto in quella più diffusa e massificata, la pubblicità, che pervade con il proprio sistema semantico le iconografie warholiane. Il risultato è stato ed è che l’arte di Warhol, dopo aver attinto alle "mitologie del quotidiano" per la propria espressività, nel corso degli anni ha progressivamente restituito alla cultura di massa quelle immagini di cui si era appropriata. In questo consiste uno degli esiti maggiori di Warhol, nell'aver cioè provocato una suggestione universale fatta di citazioni, scambi, parallelismi e allusioni reciproche la cui conclusione è probabilmente ancora lontana.

(dal catalogo "Essere ben essere secondo Andy Warhol" del 2000)