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La Repubblica di Portici o Scuola di Resina
Di Admin (del 26/07/2013 @ 00:00:01, in Arte News, linkato 3580 volte)

Dopo l'unità d'Italia si acuirono i contrasti fra le varie scuole pittoriche fino allo scontro frontale, alla guerra aperta. A Napoli, gli artisti piu aperti e sensibili, insoddi-sfatti del potere assoluto di Morelli e dei suoi seguaci, riconoscevano a Filippo Palizzi di non aver mai ammai-nato la «bandiera della verità», essendosi mantenuto fedele al realismo, anzi al naturalismo. Al Palizzi, alla onesta e rigorosa ricerca del vero (caratteristica fondamentale della Scuola di Resina), si richiameranno tutti i giovani pittori della generazione post-unitaria: Michele Cammarano, Marco De Gregorio, Federico Rossano, Eduardo Dalbono, Vincenzo Caprile, Antonino Leto, Consalvo Carelli, Alceste Campriani (che nel '60 avevano tra i 20 e i 30 anni).


marco de gregorio vincenzo caprile eduardo dalbono


Marco De Gregorio (1829-1875), garibaldino, repubbli-cano e anarchico, appese al chiodo, dopo l'impresa dei Mille, la sua camicia rossa e tornò alla pittura. Egli viveva a Resina, dove era nato, in una casa ricavata dai piani superiori della Reggia di Portici. Nella zona viveva anche Consalvo Carelli, ultimo esponente della Scuola di Posillipo-, presso il quale De Gregorio e i suoi amici Giuseppe De Nittis e Federico Rossano poterono vedere gli acque-relli di Giacinto Gigante e avere la rivelazione di una pittura di diretta ispirazione naturalistica e fondata sulla unità tra colore e luce. A Portici capitò poi, venuto da Firenze, Adriano Cecioni, il quale era stato fortemente colpito da alcune tavolette del De Nittis, viste alla «Promotrice» del '64. Dall'unione di questi «scontenti» si costituì il gruppo della cosiddetta Scuola di Resina, che fu battezzata, con ironica catti-veria, Repubblica di Portici, quasi a definirne il carattere rivoluzionario e illegale. Cecioni era portatore della teoria della macchia, che trovò a Napoli, secondo il suo giudizio, in De Nittis e in De Gregorio i piu avanzati e sicuri interpreti di quel linguaggio, che egli giudicava esclusivamente toscano e che invece, attraverso l'ormai accertato ruolo di mediatore dell'Altamura, aveva radici anche napoletane risalendo in parte a Palizzi e addirittura a Gigante.

Paolo Ricci (da "Arte e artisti a Napoli", 1981)