Pubblicata in data 19/09/2005

"La Scuola di Resina"

Portici, sin dall’Ottocento, ha fatto da sfondo alla crescita di movimenti culturali interessanti di cui si resero protagonisti artisti di influenza internazionale. È il caso di Giuseppe de Nittis il quale, allievo dello Smargiassi presso l’Accademia delle Belle Arti di Napoli ed in seguito espulso dalla stessa per motivi disciplinari, si stabilì a Portici e insieme agli amici Marco de Gregorio e Federico Rossano fondò intorno al 1850, sulle rovine di Ercolano, la Scuola di Resina, la cui sede fu successivamente trasferita nel semi-abbandonato Palazzo Reale di Portici, divenendo così nota anche col nome di Repubblica di Portici, appellativo dato in senso derisorio da Domenico Morelli, esponente di spicco della pittura napoletana e direttore dell’Accademia. È da precisare che a Napoli, Giacinto Gigante ed in seguito Filippo Palizzi e Domenico Morelli furono i principali oppositori della pittura classicheggiante proponendo un puro verismo e realismo. La reazione da loro intrapresa fu intesa da tutti: in breve Morelli e Palizzi, diventarono punti di riferimento ed assommarono i caratteri di tutta la pittura meridionale della seconda metà dell’800, influenzando e ispirando gran parte dei giovani pittori del tempo. Nella stessa Napoli, e precisamente a Portici, un gruppo di pochi uomini si sforzò di tener fronte all’invadente romanticismo di Morelli ed all’eccessivo realismo di Palizzi. Essi videro chiaro i danni dell’una e dell’altra corrente. Costatarono il danno che apportava al senso della costruzione plastica la pittura di Morelli e l’impersonale imitazione del vero di Palizzi, che avrebbe in breve condotto gli artisti su di una via completamente falsa. Ingaggiarono battaglia ai due colossi della pittura napoletana, che in quel tempo tenevano il campo stretti in una formidabile alleanza. Sorse così la “Scuola di Resina”. Più che di scuola è opportuno parlare di un proficuo incontro di artisti che ebbero in comune alcuni ideali, come il rifiuto dell’Accademia e il recupero del naturalismo, inteso non solo come fatto puramente estetico, ma sorretto da una istintività e creatività che superasse la “cultura della tecnica” e si orientasse su posizioni più avanzate. Il gruppo andò via via prendendo consistenza. A Marco de Gregorio, vero ispiratore del gruppo, a Federico Rossano e a Giuseppe de Nittis, si aggiunsero Adriano Cecioni ed altri artisti minori, quali Antonino Leto, Camillo Amati, Alceste Campriani, Michele Tedesco, Giovan Battista Filosa, Luigi De Luise, Andrea Coffa, Raffaele Belliazzi, Raffaele Izzo ed Enrico Gaeta. Il coraggioso gruppo della Repubblica di Portici, si batté con opuscoli, con discussioni, con opere, capeggiata dall’animoso ex-garibaldino Marco de Gregorio, la cui intransigenza, se viene in parte mitigata dalla dolcezza malinconica e rassegnata di Federico Rossano, è spinta a maggiore combattività dal giovanile entusiasmo di Giuseppe de Nittis. A Portici capitò poi, venuto da Firenze, Adriano Cecioni, il quale era stato fortemente colpito da alcune tavolette del de Nittis, viste alla “Promotrice” del ‘64. Dall’unione di questi “scontenti” si costituì il gruppo. Cecioni era portatore della teoria della macchia. Così si formò a Napoli un vero e proprio gruppo di macchiaioli meridionali, gruppo che strinse caldi rapporti di amicizia coi Macchiaioli fiorentini. Intorno al 1870 il gruppo della Repubblica acquistò una larga notorietà: il commerciante Goupil divenne il finanziatore del de Nittis, del Rossano e del de Gregorio; attratti dalle ricerche pittoriche dei Porticesi vennero a Portici il Dalbono ed il Michetti, che composero in quel tempo le loro opere più salde di costruzione plastica e più giuste di ricerca tonale. Dopo un periodo di splendore che va dal 1859 al 1873 il gruppo lentamente si sfaldò: morto nel 1875 Marco de Gregorio, che rappresentava il temperamento più combattivo del gruppo; partiti già da tempo il de Nittis e il Rossano per Parigi; quelli che rimasero si fecero in breve, influenzare dalla piacevolezza pittorica di Mariano Fortuny, che, venuto in Italia, fece anch’egli parte del gruppo di Portici, quando questo però aveva già perduti i suoi maggiori e più intransigenti esponenti. Se Cecioni, Rossano e soprattutto de Nittis ebbero una carriera decisamente più importante, de Gregorio, il più anziano del gruppo rimase alquanto in ombra, offuscato dallo sfavorevole paragone con gli altri, non certo per demerito. Resta il fatto che la pittura e l’opera di questi artisti conserva l’intenzione primaria che si manifesta nella capacità di rendere pittoricamente l’aria, il colore e la serenità dei luoghi ritratti. Queste intuizioni, che secondo la scuola di Resina dovevano passare per l’istinto del pittore fecero da supporto alla tesi che in Francia, dove il de Nittis si trasferì, diede vita all’Impressionismo. A Portici come a Napoli, quindi, gli artisti della fine dell’Ottocento avevano sì in germe ciò che sarebbe diventato il grande movimento artistico impressionista, ma, nel periodo post-borbonico, sia la cultura che i grandi mecenati d’arte non erano pronti a rischiare nuove avventure.

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