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Autore:

VERDECCHIA CARLO

N - M:

Atri, 1905 - Napoli, 1984

Titolo:

Strada di Atri

Tecnica:

Olio su tavola

Anno:

.

Misure:

25 x 35 cm

Note descrittive: Dall’alto dei suoi settantasei anni suonati Carlo Verdecchia domina la scena della nostra pittura contemporanea. E può permettersi di guardare con occhio tranquillo, ma più ancora con l’animo colmo di soddisfazione, alla sua lunga milizia d’arte, indefettibilmente sorretta dalla singolare, rarissima, fedeltà a un ideale che, passando indenne attraverso i marosi della contestazione o della sperimentazione di avanguardia, non ha subito l’ingiuria del tempo. Nessuna cristallizzazione, dunque, nessun immobilismo nella sua creazione artistica, ma soltanto ritmo vitale, successione armonica di bellezza e di espressione. Non a caso la critica più avveduta rilevò che la sua storia è una storia di superamento e di affinamento, sia nel senso stilistico che in quello poetico. E questo è molto, moltissimo, tutto per un artista di gran talento, il quale, per l’innata scontentezza dello spirito, muove costantemente alla ricerca del meglio, e mai s’appaga di quanto ha realizzato, e sempre si cimenta per sopravanzare sé stesso, nei tentativo d’imprigionare il bello che gli urge dentro, nello sforzo di rendere quel «quid», misterioso e inafferrabile, che l’affascina, lo soggioga, lo tormenta. Ma questo vuoi dire altresì che l’artista, pur essendo legato alla tradizione, non lo è tuttavia in maniera esclusiva e preclusiva, talché non rimane fuori del flusso di vita spirituale che investe un’epoca e l’impronta di sé. Onde nell’arte pittorica di Verdecchia risalta una felice «contaminatio» di valori antichi e moderni, un modo perspicuo di fondere contenuti, spiriti e forme diverse, con un timbro personalissimo ed originale, sempre. Un incontro con Verdecchia non è soltanto distensivo, per la gran dolcezza con la quale conversa; non è solo edificante, per la certezza che trasmette nei valori perenni dell’arte; ma è pure umanamente fecondo, perché il maestro, entusiasmandosi man mano nel racconto del suo passato, mette a nudo il proprio cuore, palesa l’intimo sentire che lo fa palpitare, fin nelle più riposte latebre, all’unisono con i propri simili. All’età di diciassette anni Verdecchia lasciò la natia Atri, in Abruzzo, e si trasferì a Napoli per frequentare l’Accademia di Belle Arti. Da allora non ha più abbandonato la città partenopea, dove tuttavia insegna nell’Istituto d’Arte, ma la sua produzione porta l’inconfondibile marchio della terra d’origine, dove periodicamente si reca per attingere in loco, direttamente, la sua ispirazione più genuina, più viva e più vera. Abruzzese, infatti, è la matrice dell’arte sua, per una sorta di legame, psichico e fisico insieme, che lo tiene avvinto alla natura, agli uomini, agli animali, alle cose d’una terra, la propria, che si è travasata tutta in lui, sin dall’infanzia, e che lui continua a ritrarre, da mezzo secolo a questa parte, con un pathos umano ed estetico, con un sentimento quasi religioso della vita. Quei paesaggi monumentali, solenni ed immoti, quasi fuori del tempo; quelle figure umane, colte nella loro rudezza primitiva, ancorate saldamente alla fatica quotidiana, al lavoro dei campi che si svolge con la puntualità d’un rito millenario; quegli animali, tanti e diversi, ma soprattutto mucche e buoi, ritratti nell’imponenza della mole e nella robustezza dell’ossatura; quei carri agricoli fermi nella siesta o cigolanti sul selciato; quelle scene di maternità animale o di drammi umani; quei rossi chierichetti del Duomo e quei saltimbanchi di piazza, appartengono tutti ad un Abruzzo tuttora arcaico, squisitamente contadinesco, ma sano e semplice, che è rimasto inalterato. Nella pittura di Verdecchia risaltano un realismo e un naturalismo vigorosi, sostenuti da una notevole forza figurativa e da una rilevante capacità di sintonizzare i colori. Ubbidiente al richiamo ancestrale dell’istinto, egli adopera, infatti, una tavolozza che risponde, fedelmente, alle sue trame compositive ricche di toni, con le quali registra le impressioni più immediate, più robuste e più vivaci che gli suscita dentro il mondo che lo circonda: un mondo prevalentemente georgico che continua a vivere, autonomamente, nelle sue tele permeate di verità e di poesia. PASQUALE PALMA

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