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Autore:

ASTURI ANTONIO

N - M:

Vico Equense, 1904 - 1986

Titolo:

Venezia

Tecnica:

Tempera su cartone

Anno:

.

Misure:

39 x 28 cm

Note descrittive: Curiosamente Asturi, pur nascendo dal versante popolaresco, soggetto quindi alle suggestioni del descrittivismo, si presenta subito, di prim’acchito, con il carattere primario di una sintesi plastica:di quello ch’è definito il suo “costruttivismo”. Asturi sfronda la sua pittura da ogni orpello, da ogni pittoricismo, dal gusto di una malintesa “bella pittura”. In realtà egli è uno sciabolatore di gran forza. Lo s’è accostato a Mancini: e il rapporto, per taluni versi, c’è inequivocabile. La pittura è data da fendenti, a colpi secchi su cui si crea l’involucro formale. Ma il Mancini cui si riferisce Asturi non è Mancini tardo, cioè materico e rugoso, bensì quello innervato e scattante del periodo precedente. Il Mancini che si richiama al seicentismo di Ribera, del Fracanzano, anche di Mattia Preti, cioè alla matrice realistico - popolare che travalica ogni barocchismo. Una forza strutturale preme dal di sotto. Siamo quindi lontani, per Asturi, dall’Ottocento tipico napoletano, del genere scuola di Posillipo. Semmai, il riferimento potrebbe andare a qualche brano succoso di un Cammarano, dello stesso Migliaro, soprattutto nella dimensione dei disegni e dei bozzetti, lontani dal descrittivismo come della retorica del folclore popolare. Asturi partisce la forma con forte sintetismo, la vuole dominare, ne vuol prendere possesso scartando ogni altra seduzione. Non è un formalista; egli tira diritto all’essenza delle cose. Naturale, logico, che sia la figura umana il soggetto predominante della sua pittura. Semmai, se si dovesse cioè indicare per forza una derivazione storica, ci si dovrebbe riferire a quel momento del realismo che nasce intorno al 1870 in Italia e che continua poi, categorialmente, fin dentro il Novecento, come una dimensione nuova di presa di possesso della “cosa in sè”, pur nutrita da radici popolari. Così a Milano si parla di naturalismo lombardo per un Gola e un Mosè Bianchi; a Venezia si va dai forti umori popolareschi di Milesi all’acre realismo di Marco Novati. E’ un filone che travalica le avanguardie, che supera persino ogni accezione stilistica. Il punto di riferiumento, come intendeva Courbet, è e resta l’uomo, un uomo che respinge i condizionameti culturali per esprimere tutta la sua istintività attraverso i sentimenti primari (il dolore, l’amore,la rabbia, la delusione, ecc.). Non a caso nelle figure di Asturi sono solitamente assenti le indicazioni temporali, i riferimenti alle fogge d’abito, le ambientazioni contingenti, tutta quella scenografia del popolaresco ch’è largamente presente nella tradizione della pittura napoletana. La figura è nuda o sobriamante vestita. Questo tentativo di Asturi di uscire dall’imminenza del tempo è indice di un realismo “categoriale”. Nella resa fulminea dell’oggetto, Asturi si riferisce però , più che agli esempi dell’Ottocento, ad una temperie tardo-cinquecentesca e secentesca. Nudi e ritratti potrebbero essere riportati a certa pittura di fine Cinquecento, magari di ambito veneziano. Come non sentire la tensione tintorettesca del segno, la sua vibrazione fulminea, la sua energia possessiva? Luca Giordano è l’antecedente immediato; ma in linea generale potrebbero esserlo anche i disegni di Rembrandt, nonché quelli di Rubens. Proprio a Rubens sono affini talune opere, dotate di un dinamismo teso e serrato. Ma in realtà ci si rende conto che Asturi è e resta un istintivo: la sua cultura figurativa è tutta prensile, cioè si forma per affinità, per sensazioni, per innamoramenti improvvisi. Si capisce che non ci troviamo di fronte ad un pittore nè letterato nè, in senso generale, colto. La sua cultura, se così si può dire, è tutta di polso. Autenticità biologica; capacità di rubare ciò che la natura offre nella sua immediatezza. Basta osservare le sue opere. La “vecchia che legge” riflette stupendamente l’attenzione persino febbrile, l’ansia, il tremito dei sensi e dell’intelletto: tutto vibra, tutto si agita. Nell’”autoritratto”, invece, si riflette un’energia compressa, resa soprattutto attraverso il forte luminismo che diventa dato formale ma anche dato psicologico. Nel “nudo di schiena” il momento è di estatica contemplazione: i muscoli della modella si distendono, le curve si fanno sinuose, un fremito corre appena sulla pelle liscia. C’è voluttà, ma anche senso sovrano di calma, di equilibrio psicofisico. Si tratta di pezzi eseguiti con perfezione anatomica che incanta. In “ follia ad Aversa” compare l’aspetto espressionismo, drammatico: la drammaticità non è esterna, bensì, ancora una volta, si riflette all’interno della forma, attraverso la tensione della dinamica del segno. Così nella “Donna che prega, qui il dinamismo si fa persino esasperato e la vibrazione ossessiva. Asturi non appare mai legato ad uno schema fisso; si lascia cogliere dall’oggetto, ed in esso riflette il suo stato d’animo. L’artista rinuncia quasi sempre alla ricchezza del colore; preferisce pochi toni ( sulle terre, i marroni, le ocre con lumeggiatura a biacca) ma in essi si riesce a trasfondere la luce-colore. E’ un luminista, come s’è detto; cioè un fulmineo spadaccino che coglie d’un balzo l’essenza delle cose. Tutto il resto (animus popolaresco, gusto del particolare) egli lo lascia fuori dall’opera, è appena sottinteso. Un artista così, di estrazione popolare ma dotato di senso pittorico, di un respiro che non esiterei a definire “europeo” va visto e giudicato in maniera diversa dai parametri della moda. Il riferimento è sempre alla grande pittura del passato. Non importa che i soggetti siano magari le tipiche carrozzelle napoletane: è la nervatura interna cui bisogna guardare. I valori sono quelli di sempre: la “categoria” del realismo che travalica i tempi.” (Paolo Rizzi)

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