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Autore:

CALIBE GIUSTINO

N - M:

Napoli, 1950

Titolo:

Senza titolo

Tecnica:

Olio su tela

Anno:

.

Misure:

160 x 160 cm

Note descrittive: Calibè a Castel dell’Ovo il “ritorno” della pittura (Vitaliano Corbi – 2005 da “La Repubblica”). Cinque strutture rettangolari, distribuite sul lati della Sala delle Prigioni di Castel dell’Ovo, presidiano lo spazio immerso nella penombra. Viste da lontano, con la luce che le illumina dal basso, sembrano enigmatiche tavole della memoria, monumenti sopravvissuti a testimonianza di misteriose civiltà passate. In realtà sono grandi cornici vuote, attraversate da sottili fili metallici, che scandiscono le distanze con rapide traiettorie geometriche o corrono da un lato all’altro di questi grossi e scuri telai come righe di una indecifrabile ma regolare scrittura. Su questi fili Giustino Calibè, che è uno degli artisti più interessanti ed inquieti della cosiddetta “generazione di mezzo”, ha lasciato qualche spessore materico e inaspettate tracce cromatiche, a ricordare che il vuoto nel quale ora essi si tendono era una volta occupato dallospazio della pittura. E i pochi intermittenti residui di materia e di colore, che ancora turbano la severa monumentalità di queste opere, sono forse ciò che resta del corpo glorioso della pittura. L’ultimo tempo della ricerca condotta da Giustino Calibè, un tempo che viene riassunto efficacemente in questa mostra di Castel dell’Ovo, ha assunto un esplicito andamento autoriflessivo, a conclusione di un’esperienza che, come notavo qualche anno fa, aveva saputo moderare le mozioni più “calde” e appassionatamente esistenziali dell’Informale con il sentimento della distanza storica che da esse ci separa e con una disposizione “analitica” a spostare la pratica della pittura sul versante metalinguistico. Il quadro non voleva essere semplicemente lo schermo di una rappresentazione virtuale, ma il luogo di un evento. Era avviato un processo di spostamento della pittura fuori della luce del quadro, della sua caduta nel passato e di una difficile risalita, che non si conclude con un trionfale ritorno, ma resta come traccia riaffiorata in un contesto divenuto radicalmente altro. Il titolo della mostra —“Exitus” — e l’impressione di trovarsi di fronte a misteriose testimonianze di una civiltà trascorsa, mentre fanno capire che un tempo, e non solo dell’arte di Calibè, si è compiuto, già coinvolgono lo spettatore in una nuova esperienza.

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