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Autore:

GODI GOFFREDO

N - M:

Omignano (SA), 1920

Titolo:

Nel verde

Tecnica:

Olio su tavola

Anno:

1968

Misure:

43 x 63 cm

Note descrittive: Superamento lirico del naturalismo Accade spesso di dover constatare come i bilanci storico-critici dell’arte del ‘900, negli assetti fin qui delineati, siano provvisori e carenti, certo bisognosi di verifica. E questo non tanto riguardo ai protagonisti, che hanno sostanzialmente ricevuto la loro sistemazione, quanto relativamente alle figure di contorno ai grandi, per le quali qualche notorietà appare francamente usurpata e molti torti e disattenzioni restano ancora da risarcire. Goffredo Godi appartiene a quest’ultimo gruppo: petit maitre, come è stato ripetutamente e autorevolmente riconosciuto, gode di una pubblica fama assai minore di quella che gli spetta. Certo, il pittore (classe 1920) ha avuto i suoi esegeti autorevoli, da Carlo Barbieri a Dario Micacchi, da Franco Simongini a Riccardo Notte, compresa perfino la Ventura di richiamare l’attenzione del grande Arcangeli; a esposto nelle maggiori rassegne nazionali, a cominciare dalle Quadriennali, e, a un certo punto, ha avuto anche qualche importante vendita all’estero; ma davvero non gli hanno giovato una riservatezza e una sorta di pudore caratteriale, come pure una certa flemma o indolenza meridionale, che poi indolenza propriamente non è, in quanto Godi lavora con costanza e impegno, ma soltanto la pittura l’interessa e non la promozione di sé, dei suoi quadri, e, per così dire, il mercato. Vissuto a lungo alle pendici del Vesuvio, affascinato da ragazzo dalla pittura di Crisconio (più esattamente: dalla vista di Crisconio che dipingeva en plein air, con tanto di tela, cavalletto, tavolozza e cassetta dei colori); allievo della scuola d’incisione su Corallo di Giuseppe Palomba, discepolo di Cammarano; Godi fu infine, dopo la guerra e la prigionia, non giovanissimo ma valente allievo di Emilio Notte all’Accademia di Napoli, assai caro al maestro. Si evocano questi dati non certo per interferire con i regesti biografici, ma per indicare come il mondo pittorico di Godi sia vitalmente innestato nel ceppo dell’arte napoletana del primo trentennio del Novecento. L’urgenza di dipingere dal vero, la predilezione tematica per i paesaggi e ultimamente per le marine, il gusto di una freschezza cromatica, di una solarità serena e ferma talvolta fino all’incantamento (forse, a ben vedere, sono qui da scorgere l’estremo inveramento della tradizione posillipista, come pure le radici del superamento di una mera vocazione naturalistica), costituiscono altrettanti contrassegni di tale radicamento partenopeo. Che più specificatamente può racchiudersi nella formula di un cézannismo filtrato attraverso la più umorale e sanguigna attitudine di Notte. Eppure, appena si approfondisca la vicenda di Godi le cose si configurano più complesse: questo pittore, apparentemente tutto sereno e solare, ha conosciuto le sue inquietudini e molteplici, vitali curiosità intellettuali. Anche a prescindere dal primissimi esordi adolescenziali nel clima e nelle cadenze linguistiche del secondo Futurismo (con ogni probabilità recepito sulla base di un ingenuo entusiasmo per il nuovo), va ricordato nel suo itinerario un più prossimo decennio di esperienza astratta assai importante per l’acquisizione di un linguaggio sintetico e costruttivo, che ha conosciuto, da parte dell’artista, il vertice di adesione nelle tele degli anni Ottanta e Novanta, per rifluire in una maggiore adesione al vero fenomenico, inclinante ad una definizione del dettaglio, ad una pittura più descrittiva insomma, nelle opere più recenti. E poi la curiosità, si diceva; gli ulteriori echi ed influssi, anch’essi fondamentali: il tonalismo di Melli e di un po’ tutta l’eredità, storicizzata e negli estremi esiti tuttora al tempo operante, della Scuola Romana (Godi si trasferisce nella Capitale agli inizi degli anni Settanta); quel costruire il quadro pennellata su pennellata; tono su tono: verde su verde, ocra su ocra (e osservando con attenzione un quadro di Godi viene fatto di meravigliarsi che in natura - e in pittura - possano esistere tante tonalità di verdi e di ocre). Il nostro artista affronta la tela d’impeto, senza la mediazione dell’impianto disegnativo; è il colore che definisce le forme, restituendo l’impatto visivo ed emozionale dell’impressione retinica. Riesce spontaneo che in un contesto contemporaneo una pittura di questo tipo si collochi sulla linea di confine tra figurazione e informale: vi leggi così, l’eco di Fausto Pirandello, specie nelle figure di bagnanti e soprattutto di Morlotti nei paesaggi: del resto, anche la pennellata di Godi rivela una sua, talvolta rilevata, consistenza materica. Circostanza tutta peculiare, i paesaggi - specie in quelli di risoluzione maggiormente sintetica - appaiono “qua e là cosparsi di misteriosi segni, nascosti come camaleonti tra le foglie”, come ha scritto con felice intuizione Gino Agnese. È qui certamente - nell’apparentemente casuale e invece coerentissimo, necessario zigzagare della pennellata rapida, sintetica, costruttiva - da ravvisare il più riconoscibile e perdurante influsso dell’ormai lontana vicenda astratta, e, con ogni probabilità, l’aspetto più stimolante della pittura di Goffredo Godi. (Carlo Fabrizio Carli)

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