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Autore:

EMBLEMA SALVATORE

N - M:

Terzigno, 1929 - 2006

Titolo:

Senza titolo

Tecnica:

Terre vesuviane su tela di juta

Anno:

2005

Misure:

40 x 60 cm

Note descrittive: Un maestro del colore (da "Il Mattino" – del 03/02/2006) Pittore dell’alchimia. Addio a Emblema, artista vesuviano. La scomparsa a 77 anni. Da giovane si era ispirato a Rothko, le sue opere in mostra a Città del Messico. (Michele Sovente). A Terzigno, un paese alle pendici del Vesuvio, dove era nato nel 1929, si è spento ieri all’alba il pittore Salvatore Emblema, circondato da quella riservatezza e solitudine che lo avevano contraddistinto. Di lui non si sapeva molto. Pochi i dati biografici e culturali (l’esordio nel ’48, con collage di foglie essicate su tele poi chiamate «fullografie», i viaggi, la presenza in grandi musei e istituti italiani e stranieri) che comunque bastavano a conferirgli un’aura di prestigio e di preziosa diversità. Aveva in gioventù viaggiato per l’Europa e per due anni si era fermato in America dove aveva avuto il privilegio di conoscere Rothko, la cui lezione artistica di gran rigore lasciò una traccia indelebile in lui. Il ritorno definitivo a Terzigno impresse una svolta particolare alla sua ricerca. Da questo punto in poi Emblema concentra tutte le sue risorse creative su un lavoro di sintesi mirante a far interagire la forma in sé e per sé considerata, con la materia pittorica direttamente desunta dalla natura circostante, dalle essenze vegetali, dalla pietra lavica opportunamente trattata. Chi vedeva l’artista all’opera nel suo spazioso ambiente-laboratorio, zeppo di secchi con il colore, di strumenti e attrezzi vari, con la sigaretta sempre accesa, completamente concentrato a deporre su grandi superfici e su fogli di carta delle vere e proprie colate laviche di rosso, blu, nero, turchese, bianco, i suoi colori dominanti, restava religiosamente in silenzio. Uomo di poche, essenziali parole, dai gesti asciutti, Emblema era l’esempio vivente di una coerenza umana e artistica spinta all’estremo. I suoi segni, i suoi graffiti, le tele sfilate che mettevano a nudo la struttura intima della materia, attraversata dalla luce, facevano da perfetto contrappunto al suo modo spoglio di comunicare. Un mondo poetico, il suo, distante dai dati oggettivi della realtà, eppure intriso di fisicità di apparizioni improvvise attraverso crepe e stratificazioni cromatiche. Colpisce in primo luogo non tanto il sottile, spasmodico gioco o interscambio fra «trasparenza e opacità», come ebbe a scrivere Argan nell’aprile del 1979, in occasione della mostra nella Villa Pignatelli di Napoli, quanto la qualità stessa del colore, per nulla accattivante, ma crudo, compresso, rappreso in una sua primordiale e quasi selvaggia elementarità. Pittura meditata, scaturita da un intenso processo di tipo alchemico, dove i sensi e la mente entrano in un serrato dialogo, quella di Emblema appare come una sorta di caleidoscopio che combina, ricombina frammenti di paesaggi onirici e visionari, striature monocromatiche, grovigli di segni, forme che somigliano a piante, a uccelli, a stelle. Quando, però, le allusioni, le risonanze, le epifanie della natura cedono il campo alla tensione astratta e analitica, ci si trova dinanzi a uno schermo sorretto da assi di legno, tela di juta oppure di sacco, detessuta e a volte tinta. Qui le emozioni vengono rallentate, filtrate da una distanza contemplativa che consegna il tempo e lo spazio a una corrente pulviscolare e corpuscolare di estremo equilibrio compositivo, come se si trattasse di una partitura musicale ricca di variazioni minime. Si spiega così il fatto che le opere di Emblema hanno fino a poco tempo fa incontrato soprattutto l’interesse della critica più attenta. Solo di recente un certo mercato, in particolare Telemarket, ha cominciato ad accorgersi di questo artista e a farlo circolare su vasta scale. Un segno dei tempi, in quanto il gusto del pubblico si è nel frattempo maggiormente affinato, per cui un tipo di arte che fonde il rigore e l’eleganza, l’enigmatico e il primordiale, riesce a coinvolgere la capacità di stupirsi di molte persone. Di qui una serie di mostre internazionali, l’ultima delle quali, con il titolo «Colore e trasparenza», è tutt’ora in corso nel Messico, a cura di Vittorio Sgarbi, mentre un’altra è prevista in aprile al «Moma» di New York.

Atre opere: